Il gruppo Eni (partecipato al 30% dal Tesoro italiano) ha ricevuto un avviso dello studio legale Foley Hoag LLP di Boston, negli Stati Uniti, perché non intraprenda attività nelle aree marittime della Striscia di Gaza che appartengono alla Palestina. Lo riportano i siti delle associazioni ricorrenti. Lo studio legale si muove su mandato dei gruppi palestinesi per i diritti umani Adalah, Al Mezan, Al-Haq e PCHR. La questione è spinosa e riguarda concessioni di licenza per l’esplorazione delle acque antistanti a Gaza assegnate ad alcune società petrolifere lo scorso 29 ottobre, dopo l’inizio dei bombardamenti sulla Striscia. Quello davanti alle coste di Gaza, a circa 30 kilometri, è un giacimento il cui potenziale è stato stimato in 30 miliardi di metri cubi di gas. Secondo calcoli di economisti palestinesi potrebbe generare introiti fino ad 800 milioni di dollari l’anno. Interpellato da Ilfattoquotidiano.it, il gruppo Eni sceglie di non commentare.

Oltre ad Eni, tra i licenziatari ci sono Dana Petroleum (una filiale della South Korean National Petroleum Company) e l’israeliana Ratio Petroleum. In particolare si tratta delle licenze della zona G che, per il 62%, rientra nei confini marittimi dichiarati dallo Stato di Palestina nel 2019, in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di cui la Palestina è firmataria. Tuttavia, secondo il governo israeliano, “solo gli Stati sovrani hanno il diritto alle zone marittime, compresi i mari territoriali e le zone economiche esclusive, nonché di dichiarare i confini marittimi”. E poiché Tel Aviv non riconosce la Palestina come Stato non ha diritto legale sulle zone marittime.

Le associazioni ricorrente ritengono invece che “l’emissione della gara d’appalto e la successiva concessione di licenze per l’esplorazione in questo settore costituiscono una violazione del diritto internazionale umanitario (IHL) e del diritto internazionale consuetudinario”. Pertanto invitano le compagnie coinvolte a non partecipare “ad atti di saccheggio delle risorse naturali sovrane del popolo palestinese”. Le stesse associazioni fanno presente che “le offerte, emesse in conformità con il diritto interno israeliano, equivalgono effettivamente all’annessione de facto e de jure delle aree marittime palestinesi rivendicate dalla Palestina, in quanto cercano di sostituire le norme applicabili del diritto internazionale applicando invece la legge interna israeliana all’area, nel contesto della gestione e dello sfruttamento delle risorse naturali. Ai sensi del diritto internazionale applicabile, a Israele è vietato sfruttare le risorse finite non rinnovabili del territorio occupato, a scopo di lucro commerciale e a beneficio della potenza occupante, secondo le regole di usufrutto, di cui all’articolo 55 del Regolamento dell’Aia. Invece, Israele come autorità amministrativa di fatto nel territorio occupato non può esaurire le risorse naturali per scopi commerciali che non sono a beneficio della popolazione occupata”.

Le associazione prospettano infine ad Eni il rischio di rendersi complici in crimini di guerra. Il riferimento è all’indagine per genocidio da parte della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia che potrebbe, secondo la notifica dello studio legale, avere risvolti molto gravi sulle azioni “di saccheggio” delle risorse naturali appartenenti ai Territori palestinesi occupati da Israele.

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