Non c’è che dire, tempi duri per i Verdi e gli ecologisti.

La persistente convinzione che i cambiamenti climatici o non esistono o possono essere gestiti continuando a produrre, consumare e muoversi come se non esistessero (in effetti è più comodo cosi), una campagna di disinformazione costante da parte di settori economici legati ai combustibili fossili, media distratti e politici che sprecano milioni di euro in opere inutili e non aiutano chi rimane indietro; e le obiettive difficoltà di adattamento a un nuovo mondo che non pare dare subito una vita migliore, stanno creando un clima estremamente ostile a tutto quello che sa di verde.

E così, paiono veramente lontani gli avvenimenti che portarono nel 2019 al grande successo elettorale dei Verdi in Europa, ma anche e soprattutto all’adozione da parte tutti gli stati della UE del Green Deal, un grande piano di leggi e finanziamenti finalizzati a prepararci a diventare il primo continente a emissioni zero, trasformando la nostra economia verso modelli più equi e sostenibili; ricorderete le oceaniche manifestazioni di milioni di giovani, gli scienziati in prima pagina tutti i giorni, i banchieri e imprenditori in prima fila con nuove tecnologie e investimenti verdi.

Ma poiché il clima impazzito non se ne andrà, le persone più vulnerabili saranno sempre più colpite dai suoi effetti e abbiamo poco tempo per cambiare strada, i quasi mille Verdi europei da ben 40 paesi riuniti nel loro Congresso elettorale la scorsa settimana, più che deprimersi, hanno messo al centro della discussione contenuti e campagne per approfittare di questa crescente polarizzazione per affrontare la campagna delle Europee in modo ancora più determinato, a dispetto dei sondaggi che li danno in discesa in molti dei paesi dove avevano raggiunto nel 2019 risultati a due cifre.

E così a Lione, bellissima città completamente trasformata da scelte urbanistiche azzeccate e resa ancora più accessibile da questi anni di amministrazione verde, hanno festeggiato i 40 anni dalla prima Federazione dei Partiti verdi europei, nata nel 1984, sull’onda dei movimenti antinuclearisti e pacifisti; e i 20 del Partito Verde europeo propriamente detto, nato nel febbraio del 2004 nella stessa sala del Campidoglio dove venne firmato il Trattato di Roma.

Il Congresso di Lione è stata anche l’occasione di ritrovare sul palco i ministri degli 8 paesi nei quali i Verdi partecipano al governo e i numerosi sindaci di grandi città europee, da Budapest, a Zagabria, a Lione, a Strasburgo e di ascoltare delle difficoltà ma anche dei numerosi successi che governare in verde presuppone. Ma in questi tempi cosi difficili, nei quali la prospettiva di una società più sostenibile e un’economia più equa sembra meno desiderabile di uno status quo instabile e inquinato, e a 5 anni dal lancio del Green Deal, ora che la maggior parte delle normative sono state adottate e non sarà cosi facile disfarle, la sfida ora è riprendere il cammino che presero molti anni fa i primi visionari ecologisti e poi ripresi dai ragazzi dei Fridays for future e delle tante propaganda ideologica che ci ripete che non è possibile cambiare modello di sviluppo.

I verdi europei hanno anche eletto i loro due capolista europei, gli eurodeputati Terry Reintke e Bas Eickout, e adottato il loro Manifesto elettorale, che ha al centro la parola #Coraggio; il Manifesto crea un legame indissolubile tra la lotta ai cambiamenti climatici, una società più giusta e la battaglia contro il declino delle nostre democrazie. Non è un caso che sia la destra a cavalcare la lotta contro il Green deal e non è un caso che i profitti di corporazioni e multinazionali (anche agricole) aumentino a dismisura proprio in tempi di emergenza climatica.

Le soluzioni ci sono. Bisogna scegliere di spostare le ingenti risorse che esistono verso rinnovabili, efficienza, trasporti pubblici, meno plastica e meno pesticidi, un’agricoltura che assicura una alimentazione sana e redditi decenti agli agricoltori; bisogna spostare risorse da sussidi e esenzioni fiscali ad attività inquinanti per accompagnare lavoratrici, lavoratori, imprese e cittadini in questa grande e magnifica sfida verso un mondo che non potrà che essere migliore. E allo stesso tempo contrastare la pressione contro la libera stampa e la repressione del dissenso favorendo la partecipazione e rifiutando la polarizzazione e la violenza del dibattito e anche riscoprendo forme più gentili dello stare insieme. Utopia? Forse, ma l’alternativa è quella guerra di tutti contro tutti, un pianeta sempre più invivibile e l’assenza di soluzioni alternative che è oggi davanti ai nostri occhi.

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In Europa il gruppo di Meloni ingloba l’estrema destra di Eric Zemmour

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