“Non ho alcuna speranza di migliorare la mia vita, se non con la morte di mia madre. Ammesso che non muoia prima io”. Maria è una donna che da un giorno all’altro ha lasciato Milano per Perugia, per assistere la madre malata di Alzheimer che abita nella cittadina umbra. Maria è una donna che vive alla giornata, una giornata fatta di compiti precisi e in sequenza e ha perso la speranza in quello che lei stessa definisce senza mezzi termini un abbandono da parte dello Stato.

Il Patto per la terza età, con il relativo decreto attuativo che l’esecutivo Meloni ha approvato giovedì 25 gennaio, riporta di attualità il tema dell’assistenza alle persone non autosufficienti, giovani o anziane che siano. Un vero e proprio mondo a parte che solo chi l’ha provato può comprendere a fondo nella sua complessità, fatta di storie di persone che, nel caso degli adulti, da un giorno all’altro o quasi, non sono più se stesse e hanno bisogno cura e assistenza continue.

Il costo è incalcolabile, se si pensa che molto spesso, come nel caso di Maria, a prestarla sono i figli, i quali si trovano così a fare i conti contemporaneamente con la rinuncia a una vita propria e il dolore per la malattia del genitore. E molto spesso non basta, motivo per cui i professionisti dell’assistenza sono figure chiave che vengono troppo spesso trascurate, formate male, sottopagate e non valorizzate, mentre dovrebbero essere al centro di una riforma di sostanza.

Se n’è parlato molto in un recente convegno milanese sul rapporto tra malattia cronica, assistenza, cura e Servizio sanitario, organizzato dal Coordinamento Nazionale per il Diritto alla Sanità delle persone Anziane malate non autosufficienti (CDSA) che ha dato voce anche a figli, operatori e perfino avvocati.

Tra loro c’era anche Maria. “Perugia estate 2023, sono la figlia di una persona ora ottantasettenne malata di Alzheimer. Da 6 anni non sono più nessuno, sono una caregiver che ricopre anche il ruolo di badante nei giorni e ore di riposo di quest’ultima. Non posso più lavorare, uscire, ridere, vivere con il mio compagno. Non posso più abitare a casa mia lontana, perché le badanti, quando si ha la fortuna di trovarle, vanno badate a causa della loro enorme incompetenza e inaffidabilità. Non ho alcuna speranza di migliorare la mia vita, se non con la morte di mia madre, ammesso che non muoia prima io”, dice. Ma è solo l’inizio del suo racconto.

“Tante cose fanno male, la fatica di questo pseudo vivere, la tristezza di questa infinita elaborazione del lutto a causa di pezzi di vita di mia madre che si sbriciolano giorno dopo giorno, il mio essermi incattivita per aver perso fiducia negli altri e soprattutto nello Stato. Io avevo fatto un patto sociale con lo Stato: io pago le tasse sempre e tutte, tu mi aiuti se ne ho bisogno. E la prima volta che io e mia madre ne abbiamo avuto bisogno per malattia grave, lo Stato è assolutamente assente se non per manifestarsi con una frase di un assistente sociale che mi ha detto che è inutile fare la domanda per una Rsa, perché a casa di mamma c’è una stanza per una badante”.

Maria in ogni caso si ritiene fortunata, perché la mamma non ha ancora né piaghe da decubito, nessun sondino nè cateteri ed è calma. “Non parla neppure più e non ci sveglia la notte, anche se lei non dorme”, dice. Poi racconta la sua giornata tipo “ammesso che non ci siano emergenze”, è un elenco scarno di attività minuziose, ripetitive e sequenziali che dice tutto. “Alle sette e mezzo c’è la preparazione della colazione di mamma e della stanza da bagno; alle 8:15 si va nella stanza di mamma che è già sveglia da un pezzo e ha il pannolone ovviamente che scoppia; otto e mezzo doccia completa, creme, abbigliamento; alle 9:30 la misurazione dei valori e la somministrazione dei farmaci; alle 9:45 la colazione imboccandola piano piano e poi un po’ di pulizie di casa, ma giusto tre quarti d’ora perché non c’è ulteriore tempo, più o meno dalle 10:15 alle 11:00; alle 11 mamma viene riportata in bagno, le viene fatta l’insulina e poi un po’ di massaggio antidecubito. Alle 11:30 si prepara il pranzo, alle 12.30 il pranzo, ovvero pranza lei imboccandola piano piano; all’una e mezzo di nuovo in bagno e di nuovo massaggio antidecubito; alle due si rimette a posto la cucina. Piccolo pausa giusto per riprendersi un attimo, ma si ricomincia subito alle quattro: di nuovo in bagno, di nuovo massaggio antidecubito. Alle quattro e mezzo la merenda imboccandola, alle cinque un po’ di attività di stimolo mentale e fisico se possibile, alle 6 di nuovo in bagno con il massaggio antidecubito. Alle sei e mezzo si prepara la cena, alle 7 si cena e di nuovo lei cena imboccandola, alle otto di nuovo in bagno con il massaggio antidecubito, alle 9 si rimette a posto la cucina, alle dieci di nuovo in bagno col massaggio e alle 10.30 col sollevatore la si mette a letto”.

La preparazione dei pasti richiede tempo e attenzione particolare a causa della disfagia, aggiunge Maria: deve essere tutto cremoso, l’acqua deve essere addensata e la somministrazione deve essere estremamente lenta tra un’imboccata e l’altra. Quanto detto non include molte altre attività: la spesa, la farmacia, la burocrazia medica e fiscale, la gestione della casa, la relazione con il dottore e gli specialisti, la gestione economica dei beni della mamma, il rinnovo dei vari piani terapeutici “come se dall’Alzheimer si potesse guarire”… E poi due o tre controlli notturni, il lavaggio settimanale dei capelli, gli acquisti per la casa e per l’abbigliamento, le pulizie della casa, perché non è che in tre quarti d’ora riesce a pulire casa. “Insomma bisogna essere sempre in due”, chiosa.

“Non cito neppure la fatica di portarla a fare una visita specialistica, il mio Stato traditore non prevede visite specialistiche domiciliari, pur avendo certificato che mamma ha un invalidità al 100%. Nessun tipo di supporto esterno mi è stato concesso, nonostante io abbia richiesto più volte e a più soggetti pubblici di avere qualcuno che mi insegnasse a movimentarla, a pulirla, a prepararle i pasti. ho imparato e ho insegnato alla badante grazie ai tutorial ai tutorial in rete e sempre di più ho la convinzione che a tutto ciò c’è una sola soluzione”.

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