Almeno una settimana con un solo impianto in marcia, come mai accaduto prima. L’ex Ilva di Taranto andrà al minimo dal 4 all’11 dicembre per lo stop all’altoforno 2. Lunedì inizieranno le operazioni per fermarlo e così, con l’altoforno 1 inattivo da agosto, il siderurgico tarantino scende al minimo delle possibilità produttive. Ufficialmente l’impianto dovrebbe riprendere a lavorare dal 12 dicembre, ma cresce l’allarme tra i sindacati metalmeccanici visto che anche Afo1 aveva una fermata programmata breve (un mese) per l’installazione di alcuni filtri utili all’ambientalizzazione e invece non è ancora stato riacceso.

Con la produzione già ben al di sotto degli obiettivi annui e 5mila lavoratori in cassa integrazione, lo stop rischia di essere una mazzata per l’acciaieria nel pieno di una crisi finanziaria, con i due soci – ArcelorMittal e Invitaliaai ferri corti per la ricapitalizzazione, con il socio privato che non vuole iniettare nuova liquidità, necessaria per la sopravvivenza nel breve termine. I soci di Acciaierie d’Italia si rivedranno il 6 dicembre in assemblea, nel pieno della fermata di Afo2. “Manutenzione programmata e ottimizzata”, sostiene l’azienda, ma la tempistica insospettisce i sindacati, paurosi che il dramma dell’ex Ilva possa giungere al peggiore dei capolinea.

“Con la fermata di Afo/2 si rischia la chiusura definitiva, non c’è più tempo, il governo decida”, avvisa Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. La notizia dello stop all’altoforno 2 rappresenta ad avviso della Fiom la conferma di “quanto la già grave situazione stia degenerando” nonché “l’ennesima arma ricattatoria nei confronti di un governo incapace di determinare le scelte strategiche sia sul futuro della siderurgia che della transizione ecologica e sociale”. Lo spegnimento dell’altoforno, ha aggiunto Scarpa, avrà una “serie ripercussioni sul ciclo produttivo e sullo stato già precario degli impianti”.

La Fiom ricorda anche che Acciaierie d’Italia “ha mandato a tutti i lavoratori una comunicazione di natura vessatoria e propagandistica, tra l’altro, in un momento in cui è proclamato lo stato di agitazione in tutto il gruppo” per annunciare l’introduzione di “un premio sulla riduzione degli infortuni di 100 euro a dipendente con erogazione a febbraio e misurato su dicembre, nei fatti confermando che la sicurezza e la salute sono legate ai comportamenti dei lavoratori e non agli investimenti”.

L’impianto “va verso spegnimento e il governo si fa ricattare da questa multinazionale che dimostra tutta la sua irresponsabilità e disprezzo per il nostro Paese”, attaccano Sasha Colautti e Francesco Rizzo dell’esecutivo nazionale Usb. “Se questo è il governo del ‘Made in Italy’ e non del ‘Made in India’ lo dimostri ora, assumendo il controllo dell’azienda, cambiando la governance e mettendo in campo un piano industriale che garantisca piena occupazione, lavoro, salute e rispetto per l’ambiente”, aggiungono dall’Unione sindacale di base proprio nel giorno in cui hanno promosso diversi momenti di mobilitazione fino ad arrivare a una manifestazione nazionale a Taranto il 20 gennaio.

Per la Uilm si tratta della “triste e gravissima realtà della fine” dell’impianto: “Con questa decisione, di fatto, l’ex Ilva di Taranto sarebbe ferma se si considera che la quasi totalità dell’area a freddo è già ormai da tempo quasi completamente inattiva. Un evento mai accaduto in circa quant’anni di attività”, ricordano Guglielmo Gambardella, segretario nazionale Uilm, e il numero uno del sindacato a Taranto Davide Sperti. “Vogliamo ricordare al governo che ArcelorMittal già nel 2019 annunciò la fermata degli impianti ma l’esperienza evidentemente non è servita. Se fossimo in un altro Paese, il governo in carica assumerebbe ad horas un provvedimento straordinario per impedire la fermata di un asset strategico”.

@andtundo

Articolo Precedente

L’Enpam ci riprova e tenta il colpo grosso: mi ricorda un’altra storia

next
Articolo Successivo

Occupabili senza sussidio, ministra Calderone: “Accuse false, la piattaforma funziona”. E poi fugge dalle domande del Fatto Quotidiano

next