Mi trovo a Budapest dove ho presenziato lunedì 29 gennaio, come osservatore internazionale, alla prima udienza del processo contro Ilaria Salis, la giovane italiana arrestata circa un anno fa per una presunta rissa con dei neonazisti che ogni anno celebrano qui indisturbati, accorrendo anche dal resto d’Europa, il loro “giorno dell’onore” in memoria dei militari della Wehrmacht e delle SS che perirono combattendo l’Armata Rossa.

La vicenda d’Ilaria, che dal momento del suo arresto langue in condizioni di detenzione durissime e rischia una pena fino a 24 anni di reclusione, è molto emblematica. Il processo si fonda su prove inconsistenti, le condizioni di detenzione sono estremamente dure, la pena appare del tutto spropositata rispetto all’entità del presunto danno inflitto agli aggrediti.

Il sistema giudiziario penale ungherese è di impianto fortemente inquisitorio con un ruolo eccessivamente dominante di giudice e pubblico ministero rispetto alla difesa, senza peraltro che la magistratura nel suo complesso brilli per indipendenza rispetto al potere politico. A Ilaria non è stato consentito l’accesso a importanti atti processuali che le sono stati consegnati esclusivamente in lingua ungherese e il sistema appare congegnato in modo tale da non concedere molto ai diritti degli imputati a difendersi.

Mentre il coimputato tedesco si è dichiarato colpevole, Ilaria protesta la sua innocenza e, come accennato, risultano molto labili gli elementi di prova a suo carico, che il suo avvocato difensore ungherese si accinge a smontare nella prossima udienza del 24 maggio, dedicata all’esame dei testimoni.

Occorre inoltre denunciare una certa parzialità del governo ungherese, che ostenta il suo rigido legalismo ma non pare procedere con comparabile zelo a perseguire i fascisti che pure si rendono colpevoli di gravi aggressioni e di brutali attacchi all’insegna del razzismo e dell’antisemitismo (quello vero) più feroci.

Tutti questi elementi inducono a forti perplessità nei confronti del procedimento di cui la nostra giovane concittadina, una maestra di profondi sentimenti antifascisti che si reclama innocente di fronte ad ogni accusa, è oggi vittima. È pertanto necessario affiancare all’azione degli avvocati quella dello Stato italiano, che, come recita il nostro comunicato del Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED), alla cui delegazione – rappresentativa anche dell’Associazione europea dei giuristi e delle giuriste per la democrazia e i diritti umani nel mondo – ho partecipato con le avvocate Francesca Trasatti e Veronica Scali, deve esercitare pressioni adeguate a livello europeo e internazionale per ottenere il rispetto dei diritti d’Ilaria e l’applicazione della Decisione europea, che prevede la possibilità degli imputati di essere trasferiti nel Paese d’origine.

L’ambasciatore d’Italia a Budapest, che abbiamo incontrato sabato, ha mostrato del resto al riguardo una positiva disponibilità, confermata nella riunione svoltasi poco fa cogli avvocati italiani e i familiari di Ilaria, nonché in certa misura dalle stesse prese di posizione e iniziative dei competenti ministri degli Esteri e della Giustizia, anche sulla base di analoghi precedenti verificatisi in rapporto con vari Stati europei.

Le nostre menzionate autorità nazionali sono del resto stimolate da un’opinione pubblica nazionale abbastanza compatta che vede nell’immagine di Ilaria trascinata in catene al cospetto del giudice un insulto ai sentimenti antifascisti del popolo italiano e alle tradizioni garantiste dello Stato italiano, tenendo conto anche del fatto che Italia e Ungheria, oltre a una storia per certi aspetti simile nelle loro fasi risorgimentali, condividono oggi i valori fondamentali che dovrebbero costituire la base dell’Unione europea. Valori peraltro, com’è noto, in forte crisi.

Il governo di Orban, ancora sostenuto da parte consistente della popolazione ungherese, attua politiche di forte ispirazione securitaria e si muove spregiudicatamente sul piano internazionale, bloccando – e fa bene – gli stanziamenti a favore della prosecuzione del macello ucraino che stanno dissanguando l’Europa e massacrando ogni giorno troppi giovani russi e ucraini. Orban, come altri governi e forze di destra, trova spazio anche per la crisi di prospettiva dell’Unione Europea, che rischia di arenarsi e naufragare tra il neoliberismo esasperato che spinge i governi a comprimere sempre più spesa pubblica e servizi sociali e la totale subordinazione alle direttive della Nato e degli Stati Uniti in politica estera. Per salvare quello che rimane dell’Unione europea occorre un rovesciamento completo di questa linea autodistruttiva.

È probabile che le prossime elezioni europee saranno caratterizzate da un crescente astensionismo e dalla crescita delle forze di destra che, come l’AfD tedesca, vogliono accentuare ulteriormente i tratti illiberali e antisolidali già presenti nell’Europa attuale. Per contrastare tale pericolosissima deriva occorre rilanciare taluni valori di fondo che esprimono la parte migliore della storia e della cultura europea, fra di essi indubbiamente la democrazia e l’antifascismo ma anche la pace e la solidarietà internazionale, che dovrebbero ispirarne l’azione in un mondo sempre più multipolare.

La vicenda di Ilaria Salis rientra a pieno in questo contesto complesso e inquietante. Riportarla quanto prima in patria non è solo questione di dignità nazionale, ma anche di salvaguardia e rilancio dei valori menzionati, per garantire un futuro all’Europa e ai suoi popoli, tra i quali l’italiano e l’ungherese.

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