di Alessandro Santoro* (fonte: lavoce.info)

La nuova versione del decreto legislativo che introduce il concordato preventivo lascia molta discrezionalità all’amministrazione fiscale sulla proposta da formulare al contribuente. L’Agenzia delle entrate dovrà fare uno sforzo di trasparenza sui risultati ottenuti.

Il parere del Parlamento

Il governo ha annunciato di voler modificare la normativa di introduzione del concordato preventivo biennale per tenere parzialmente conto del parere del Parlamento. L’idea del concordato è quella che l’Agenzia delle entrate proponga al contribuente un determinato livello di reddito da dichiarare e che il contribuente, accettandola, si impegni a pagare le imposte conseguenti per il biennio successivo, ottenendone, come principale beneficio, una ridotta probabilità di accertamento.

Come sintetizzato in un precedente articolo, il parere del Parlamento prevedeva due modifiche principali, ovvero la possibilità di consentire l’accesso al concordato preventivo anche ai contribuenti con un punteggio Isa inferiore a 8 (che era invece il livello minimo previsto nella versione originaria del decreto), nonché la previsione di un vincolo all’Agenzia a formulare una proposta non superiore al 110 per cento del reddito dichiarato da questi contribuenti.

Se il governo avesse accolto entrambe le proposte si sarebbe generato un fenomeno paradossale, perché i benefici oggi previsti solo per i contribuenti che accedono al regime premiale degli Isa (e quindi con un punteggio non inferiore a 8) sarebbero stati attribuiti ai contribuenti che, in base agli stessi calcoli dell’Agenzia delle entrate, sono considerati probabili evasori (tant’è che al di sotto del 6 i contribuenti dovrebbero inseriti in liste speciali per i controlli) chiedendo loro uno sforzo minimo di adeguamento. Inoltre, al paradosso si sarebbe aggiunto un grande pericolo per il gettito dello stato perché, a questo punto, il 50 per cento dei contribuenti che oggi dichiarano un punteggio Isa pari almeno a 8 non avrebbero avuto più alcun motivo per farlo, e si sarebbe verificato uno schiacciamento verso il basso dei redditi dichiarati, come puntualmente succede ogni volta che si stabiliscono soglie esplicite al ribasso.

La nuova versione del decreto legislativo

Per fortuna, questo non sembra essere accaduto, anche se non è ancora nota la versione definitiva del decreto legislativo. Il governo ha annunciato di voler accogliere l’espansione della platea dei contribuenti che potenzialmente potrebbero accedere al concordato, ma non la limitazione della proposta massima di adeguamento formulabile dall’Agenzia delle entrate. A questo punto, quindi, l’impatto del provvedimento dipenderà in modo cruciale dalla proposta che formulerà l’Agenzia stessa e dalla risposta dei contribuenti.

Per capirlo, consideriamo inizialmente un contribuente che dichiara un reddito a cui corrisponde un Isa pari a 6. L’Agenzia delle entrate ha di fronte due possibilità.

La prima è quella di comportarsi in continuità con lo spirito originario del decreto legislativo e quindi di proporre al contribuente un reddito corrispondente, se non proprio a 8, a un livello comunque non troppo lontano da quello che oggi è richiesto per il regime premiale. Se la scelta sarà questa, è prevedibile che l’impatto del concordato preventivo sarà limitato, perché la proposta non verrà accolta dalla maggior parte di chi oggi dichiara poco, ma virtuoso, perché coloro che la accetteranno dovranno effettivamente aumentare il reddito dichiarato.

La seconda possibilità è quella che, pur non avendo accettato l’esplicito limite che il Parlamento voleva imporre, l’Agenzia stessa, magari proprio per tenere conto della volontà politica della maggioranza, si adegui di fatto a tale indirizzo, formulando una proposta poco al di sopra del reddito dichiarato al contribuente. Torneremmo in questo modo, per via amministrativa, allo stesso risultato nefasto che avrebbe prodotto l’accoglimento integrale del parere del Parlamento, ovvero un premio agli evasori e il crollo della compliance.

Altre possibilità, ad esempio l’aumento dei controlli richiesto da alcuni o la modulazione dei benefici in funzione della differenza tra il reddito dichiarato e la proposta, non sono evidentemente state considerate dal governo.

L’esigenza di un surplus di trasparenza

Per il momento, non si può esprimere alcun giudizio definitivo sugli esiti dell’attuazione del provvedimento, ma va detto che aver lasciato così tanta discrezionalità all’amministrazione fiscale richiede un surplus di trasparenza e di informazione. È necessario che l’Agenzia pubblichi i dati relativi al numero dei contribuenti a cui è stata formulata la proposta, al reddito da essi originariamente dichiarato e a quello proposto e, in relazione a quest’ultimo, alla distribuzione dei casi in cui la proposta è stata accettata o rifiutata. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, in occasione della conferenza stampa con cui, solitamente all’inizio dell’anno, l’Agenzia delle entrate diffonde i dati relativi alla sua azione di contrasto all’evasione e di promozione della compliance. Solo in questo modo sarà possibile capire che tipo di approccio è stato seguito e quale impatto ha avuto sui comportamenti dichiarativi e quindi sull’evasione.

*Ordinario di scienza delle finanze presso il Dems dell’Università di Milano-Bicocca, è affiliato dei centri CEFES, Datalab e Dondena

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