Far crescere economicamente l’Africa significa allevarsi un concorrente alle porte di casa capace di operare su produzioni a maggiore valore aggiunto ed accettare, ad esempio, che gruppi automobilistici come Stellantis o Volkswagen spostino la loro produzione in paesi come Marocco e Algeria. E che poi altre industrie seguano. Oppure smetter di sussidiare i prodotti agricoli nazionali per far si che le produzioni africane possano competere sui nostri mercati. “I Paesi africani hanno un enorme potenziale e hanno bisogno di accedere alle catene del valore regionali e globali. Questo richiede un nuovo modello di partnership con investitori e paesi stranieri. L’Italia è qui per questo”, dice il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Noi non abbiamo energia, loro hanno energia. Abbiamo una grande industria, devono svilupparla. . . C’è una forte complementarità”, ha detto lo scorso 5 gennaio il numero uno dell’Eni Claudio Descalzi al Financial Times. Appunto.

Sarebbe però bene chiarirsi cosa questo significhi prima di avventurarsi in visionari progetti. Non perché sia in sé sbagliato, anzi, ma perché non sembra essere questo l’atteggiamento con cui il governo Meloni, l’Italia, e l’Ue nel suo insieme, guardano all’Africa. Tanto meno ora, con istinti protezionistici che riprendono vigore in tutta Europa e i sondaggi delle prossime elezioni segnalano una virata decisa verso movimenti nazionalisti. Oltre che con poche risorse il piano Mattei nasce quindi con questa tara genetica che non ne lascia presagire un felice sviluppo.

Come ha ricordato Giorgia Meloni l’idea del fondatore dell’Eni Enrico Mattei era la condivisione con i paesi possessori delle risorse e solitamente meno sviluppati dei benefici, del loro sfruttamento. Non una semplice predazione come invece si è spesso verificato. Con questo grimaldello, che si traduceva concretamente nell’equa divisione dei profitti, Mattei riuscì a scardinare quelli che erano i dominii di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. L’Eni divenne una potenza industriale di caratura globale, ma questa “rivoluzione”, che scompigliava piani altrui nei loro giardini, finì verosimilmente per costargli la vita. L’Italia, grazie all’Eni e a Mattei, mantenne a lungo una sua sfera d’influenza in una parte del Nord Africa, influenza spazzata via nel 2011, al governo c’era Berlusconi e Meloni era ministra della Gioventù, quando francesi, inglesi e americani decisero di farla finita con Gheddafi. E ora lì conta più la Turchia dell’Italia.

Meloni parla ora di un rapporto tra pari, imperniato sul commercio e la cooperazione economica. Il piano presentato sembra però avere un cabotaggio più modesto, alla fine non troppo diverso dal solito scambio meno migranti in cambio di investimenti e aiuti economici in varia forma. Del resto le risorse stanziate per ora non permettono altro. Il piano Mattei “può contare su 5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie: circa 3 miliardi dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi e mezzo dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo”, ha detto Meloni. Come si vede i soldi “veri” non sono moltissimi. Il piano si struttura su cinque pilastri di medio lungo periodo, istruzione e formazione, salute e agricoltura, acqua ed energia. La documentazione messa a disposizione dal governo davvero non aggiunge molto. Anche a guardarlo con le migliori intenzioni, sembra tutto davvero piuttosto inconsistente. “Abbiamo individuato alcune nazioni africane del quadrante subsahariano e nordafricano” che sarà poi allargato “seguendo una logica incrementale”, ha detto la presidente del Consiglio.

Le azioni concrete intraprese sinora dal governo e dall’Eni, che come noto viene ritenuto il vero ministero degli Esteri dell’Italia, sono stati nel solco della tradizione. Accordi di fornitura energetica che servono come il pane finché i rubinetti dei gasdotti con la Russia restano chiusi. Roma ha puntato in particolare sull’Algeria e sulla Repubblica del Congo. Quanto all’ex storico alleato libico, dal gasdotto che collega Libia e Italia arrivano “rigagnoli” di gas con la pipeline che funziona a un decimo del suo potenziale. La soluzione del problema è ora appaltata alla Turchia.

“Signora presidente del Consiglio, sul Piano Mattei che propone avremmo auspicato di essere consultati. L’Africa è pronta a discutere contorni e modalità dell’attuazione. Insisto sulla necessità di passare dalle parole ai fatti, non ci possiamo più accontentare di promesse, spesso non mantenute”. Così il presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Faki, nel discorso al vertice Italia-Africa, rivolgendosi alla premier Giorgia Meloni. “Le prese di posizione dell’Italia a favore di un nuovo paradigma di partnership con l’Africa godono di ottima considerazione nel continente”, ha comunque detto l’ex primo ministro del Ciad.

Le opposizioni hanno gioco piuttosto facile nel denunciare la vacuità della svolta che sarebbe rappresentata dal piano Mattei. “Quando un Paese come l’Italia si confronta con i capi di Stato e ministri del contenente africano è sempre importante. E noi, quando si tratta di costruire ponti con altri paesi ci siamo, perché anche noi tifiamo Italia. Ma dopo aver ascoltato Giorgia Meloni ci rimane la sensazione che il piano Mattei, ora come ora, sia una scatola vuota e che il governo si stia muovendo più attraverso annunci di propaganda che con una concreta ed efficace politica estera”, dice il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia. “Con l’ennesimo show propagandistico la Meloni ha finalmente svelato in pompa magna il suo Piano Mattei al presidente dell’Unione Africana – quello con cui credeva di parlare nello scherzo telefonico dei comici russi – e a tutti i leader africani. Una messa in scena dietro la quale ci sono solo solo progetti annunciati e senza fondi adeguati. Altro che sviluppo sostenibile e contrasto alle cause dell’immigrazione: l’obiettivo concreto è lo sfruttamento delle risorse naturali africane – petrolio, gas e materie prime – il che produce impatto climatico, corruzione, povertà, instabilità, conflitti e in definitiva aumento dei flussi migratori”, dichiarano i parlamentari del Movimento 5 Stelle delle commissioni Esteri di Camera e Senato. “Il vertice Italia-Africa è un fatto importante” ma “il Piano Mattei” al momento “non ha sostanza. Noi siamo pronti a votarlo quando si capisce quanti soldi ci sono e quali iniziative. Altrimenti diventa tutta comunicazione”, fa presente il leader di Azione Carlo Calenda.

Alla presentazione del Piano è intervenuta anche la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, in piena campagna elettorale in vista delle elezioni europee del prossimo giugno. “Sono molto grata all’Italia per aver messo la cooperazione con l’Africa al centro della sua politica estera e della presidenza del G7. Il nuovo Piano Mattei rappresenta un importante contributo a questa nuova fase della nostra partnership con l’Africa e si integra con il nostro European Global Gateway, 150 miliardi di euro” dall’Ue, ha detto sottolineando che “gli interessi e i destini tra Africa ed Europa sono allineati più che mai”, su energia pulita, lotta al cambiamento climatico, lavoro, fermare le perdite di vite umane sulle rotte migratorie. “Va un plauso al piano Mattei, al paradigma che ha portato ad una partnership tra pari dove ognuno dà il proprio contributo, nel rispetto e nella fiducia reciproche”, ha rilanciato il presidente del Consiglio Ue Charles Michel. La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha affermato che “Quando l’Africa prospera, l’Europa prospera e il mondo prospera. Ed Enrico Mattei aveva capito per primo che c’è più forza nelle nazioni che collaborano, piuttosto che quando lavorano l’una contro l’altra”.

In realtà l’Europa in Africa ha un grosso problema, la sua influenza si sta lentamente consumando a favore soprattutto di Cina e Russia che non hanno il fardello di un passato coloniale feroce e predatorio. Non che i termini posti da Pechino o Mosca siano particolarmente benevoli ma il passato un suo peso ce l’ha. L’Unione Sovietica ebbe in passato un ruolo attivo a sostegno delle lotte di liberazione dai colonizzatori di molti paesi del continente. Dal 2000 il ruolo della Cina è costantemente cresciuto, per lo più finanziando la costruzione di infrastrutture utili ai commerci, a condizioni piuttosto sfavorevoli e con le materie prime dei paesi interessati poste a garanzia. Nel 2021 il paese asiatico ha investito in Africa oltre 5 miliardi di dollari. La Russia gioca una partita più incentrata sugli equilibri geopolitici, con un attivo coinvolgimento nei conflitti dell’area delle sue milizie paramilitari. Negli ultimi 10 anni il valore dell’interscambio commerciale con l’Africa è più o meno raddoppiato, sfiorando i 18 miliardi di euro. Che il piano Mattei possa sperare di invertire questo stato di cose è da escludere. Che possa essere un primo passo dipende più da Bruxelles che da Roma. Ma la direzione su cui l’Ue è avviata sembra opposta.

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