Quasi un milione tra medici, infermieri e assistenti alle cure. È questo il numero di unità di personale sanitario che dovrebbero essere assunte in Italia per colmare il gap con la media dei Paesi Ue. Questo considerando che siamo una delle popolazioni più anziane del mondo e che entro il 2032 l’Italia avrà circa 10 milioni di pazienti over 65 con patologie croniche. Quello del personale impiegato è solo uno dei terreni su cui la sanità italiana perde vistosamente campo rispetto all’Unione Europea. Per quanto riguarda il livello di spesa sanitaria, siamo distanti del 32% dalla media Ue. Servirebbero almeno 15 miliardi in più all’anno per portare l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil attorno al 10%. Valore che, seppur decisamente superiore al 6,7% del 2023, è comunque più basso della media Ue dell’11,5%. Tutto questo in un contesto di crescente disagio economico e di grande disuguaglianza geografica: nel Nord si registra un’aspettativa di vita senza limitazioni funzionali maggiore di quasi 3 anni rispetto al Sud.

I pazienti cronici over 65 – È il panorama drammatico descritto dal 19° Rapporto Sanità del Crea, Centro per la ricerca economica applicata in sanità, presentato il 24 gennaio nella sede del Cnel, a Roma. Secondo il report, il futuro del Sistema Sanitario Nazionale è sempre più incerto. Gli indicatori demografici, con i bassi tassi di natalità, confermano che nel prossimo decennio l’età media della popolazione italiana continuerà a crescere. Un trend che comporterà problemi economici – con più anziani non occupabili sarà più difficile sostenere il welfare – e di salute pubblica. Entro il 2032 l’indice di dipendenza degli anziani – che misura il carico sociale ed economico della popolazione anziana gravante su quella in età attiva – salirà dal 37,5% al 46,2%. Questo significa che la sanità dovrà dedicarsi in modo prevalente al segmento più anziano della popolazione. In 10 anni, i pazienti cronici over 65 saranno circa 10 milioni. A questi, sottolinea il rapporto, vanno aggiunti i circa 7 milioni cronici “giovani”, tra i 18 e i 69 anni.

Pochi medici e infermieri – Di fronte a questo quadro demografico si fa ancora più catastrofica la mancanza di personale sanitario. In tutto, per colmare il gap riferito alla popolazione over 75 rispetto alla media dei Paesi Ue, all’Italia mancano oltre 900mila unità di personale dedicato alle cure (medici, infermieri e oss). Tra il 2003 e il 2021, il numero di medici per mille abitanti over 75 è passato da 42,3 a 34,6. Ancora peggiore il dato degli infermieri: da 61 a 52,3. Questo perché, negli ultimi vent’anni, i professionisti sono progressivamente usciti dal sistema, andando in pensione o trasferendosi all’estero. In quest’ultimo caso il danno è duplice: dopo aver speso soldi per formare un professionista, l’Italia non beneficia della sua entrata in servizio. Inoltre, una quota sempre più rilevante di professionisti sta valutando di cambiare lavoro. Tra le principali motivazioni ci sono lo stress e le scarse retribuzioni. Secondo una ricerca realizzata da Crea in collaborazione con Fnomceo – Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri – oltre il 75% dei medici ritiene che gli stipendi non siano più ragionevolmente commisurati ai carichi di lavoro e chiede un aumento tra il 20 e il 40%. Un incremento che, secondo i ricercatori, è in linea con gli altri stati europei, considerando che in Germania e Regno Unito lo stipendio dei medici è rispettivamente maggiore del 79% e del 40% rispetto a quello dei colleghi italiani. Anche per gli infermieri si rileva una minore retribuzione media, con stipendi più bassi del 50% rispetto ad altri paesi europei.

L’assistenza per le persone non autosufficienti – Molto carente anche il numero di oss, fondamentali per assistere le persone non autosufficienti, in aumento in un paese anziano come l’Italia. Sono 86,4 per mille abitanti over 75, contro i 114,6 della Spagna, i 175,8 della Francia e i 211 del Regno Unito. Poiché l’assistenza alla non autosufficienza è un bisogno non rimandabile, la carenza di oss è stata colmata dai cittadini attraverso l’assunzione di badanti. Non essendo professionalizzati, questi lavoratori non hanno possibilità di far fronte alle necessità del paziente e sono costretti spesso a ricorrere all’assistenza sanitaria pubblica, garantita con affanno dai pronto soccorso. Nel 2022, a fronte di 14,5 miliardi di euro di indennità di accompagnamento erogati, il 69% (pari a 10 miliardi) è stato impiegato per sostenere le spese di un badante o per pagare strutture dedicate alla cura e al trattamento dei soggetti invalidi. Il restante 31% (pari a 4,5 miliardi) è andato a costituire una sorta di compenso per l’attività svolta dai cosiddetti “caregiver informali”, che per lo più si identificano con la figura di un familiare. Il rapporto mette in dubbio l’efficacia di queste politiche socio sanitarie. Il risultato dell’erogazione dell’indennità di accompagnamento è di fatto il finanziamento di un assistenza informale, non professionalizzata, che non può garantire i giusti standard di cura ai soggetti fragili.

Sanità privata e impoverimento delle famiglie – Cresce, inoltre, la spesa sanitaria privata. Nel 2022 ha raggiunto i 40,1 miliardi di euro ( +0,6% medio annuo nell’ultimo quinquennio). Le Regioni con la quota più alta di spesa privata intermediata sono state il Trentino-Alto Adige (21,0%) e la Lombardia (19,7%). La Sicilia è stata quella con la quota minore (1%). Il 75,9% delle famiglie italiane sostiene spese per consumi sanitari: la quota è aumentata dell’1,7% nell’ultimo anno. Tra le famiglie più abbienti, quelle che ricorrono a spese sanitarie private superano l’80%. Tra quelle meno abbienti, non si raggiunge il 60%. Ciò conferma che la sanità si comporta come un bene di lusso: la sua quota nei consumi aumenta al crescere del reddito disponibile. Lo ribadisce il dato del disagio economico delle famiglie dovuto a consumi sanitari. Le famiglie che hanno subito un impoverimento a causa delle spese sanitarie e che hanno dovuto rinunciare a curarsi per motivi economici sono circa 1,6 milioni nel 2021, il 6,1% dei nuclei. In crescita di circa un punto percentuale rispetto al 2020 e di un punto e mezzo rispetto al 2019. Per Calabria, Campania e Sardegna la quota di famiglie soggette a disagio economico per cause sanitarie si impenna fino a raggiungere valori intorno al 14%.

Le risorse pubbliche – Nonostante queste criticità, il Rapporto sottolinea come nell’allocazione delle risorse pubbliche, la Salute sia una delle funzioni che ha visto un definanziamento maggiore (insieme all’istruzione): nel 2021, sul totale della spesa pubblica, alla Salute era destinato il 13,7% delle risorse, contro il 16,6% medio dei Paesi Eu “originari” (quelli entrati a far parte dell’Unione prima del 1995). Un calo di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2016. In termini di copertura dei bisogni siamo al di sotto dei Paesi dell’Europa Orientale, mentre per quanto riguarda la spesa per la prevenzione in termini pro-capite l’Italia occupa l’undicesima posizione tra i diversi stati europei.

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