Il “territorio di Reggio continua a essere il centro di riferimento per il nord della criminalità organizzata”. E Reggio non è Reggio Calabria ma Reggio Emilia. A sostenerlo è Calogero Gaetano Paci, da un anno e mezzo procuratore capo della città del processo Aemilia, il più grande procedimento contro la ‘ndrangheta nel nord Italia. “Anche dopo Aemilia questo territorio continua a essere il centro di riferimento per il nord della criminalità organizzata“, spiega il magistrato, siciliano d’origine, che in passato è stato pm a Palermo e procuratore aggiunto dell’altra Reggio, in Calabria. Esperto investigatore antimafia, Paci analizza la situazione criminale del suo territorio ragionando sui dati finanziari. “I flussi in entrata delle notizie di reato in materia economica che ci arrivano non lasciano dubbi: negli ultimi cinque anni si è avuto un incremento costante e solo nell’ultimo anno il balzo in avanti è stato di quasi il 70% rispetto all’anno precedente”, spiega il magistrato durante una lunga intervista, che comparirà nel nuovo Rapporto di LAW, l’Osservatorio promosso dalla Cgil dell’Emilia-Romagna per il contrasto alla criminalità organizzata e allo sfruttamento del lavoro. Un colloquio durante il quale il procuratore analizza la struttura economica e imprenditoriale della Provincia e sottolinea come nel Reggiano si registri il più alto numero di interdittive emesse ogni 100mila abitanti: “Nel 2022 sono state emessi dalla Prefettura 106 provvedimenti interdittivi, il doppio di Reggio Calabria e Catanzaro, addirittura il quintuplo rispetto a Palermo”. A proposito dell’abuso d’ufficio, che il Parlamento sta per abolire, il procuratore sottolinea che i reati spia sono “essenziali” per portare allo scoperto “il reticolo di collusioni affaristico-clientelari” tipico delle imprese mafiose.

Dottor Paci, partiamo dal processo contro la ‘ndrangheta in Emilia Romagna. La Corte di Cassazione ha definito Aemilia una vittoria dello Stato. È d’accordo?
Un approdo giudiziario delle dimensioni quantitative e soprattutto qualitative come quello del processo Aemilia è senz’altro una vittoria per tutte le Istituzioni. Tuttavia occorre anche prendere atto, una volta per tutte, che a questo importante risultato si è prevenuti in ritardo, nonostante i non pochi procedimenti celebrati prima al sud e poi in Emilia dove, già a partire dagli anni ’70, era stata registrata la presenza di cosche di ‘ndrangheta nel territorio.

Si era sottovalutato il fenomeno?
Probabilmente concorse la diffusa convinzione di un fenomeno circoscritto a gruppi di immigrati di provenienza calabrese. Ma a Reggio Emilia la ‘ndrangheta ha intrapreso un percorso evolutivo, ha avuto la capacità di adeguarsi alle moderne condizioni di mercato e soprattutto a quelle ambientali. Le estorsioni nei confronti degli imprenditori non sono state più realizzate con i metodi tradizionali semplicemente perché non erano più necessarie. In realtà le vittime sono spesso diventate complici, attraverso una più raffinata e “concordata” attività di fatturazione sistematica per operazioni inesistenti. L’Iva non viene versata all’Erario e a pagare è solo lo Stato.

Pare di capire che la falsa fatturazione abbia fatto gola non solo a piccoli imprenditori calabresi ma anche al ricco e forte sistema economico emiliano.
La ‘ndrangheta è entrata in rapporti con il tessuto economico, professionale, sociale e politico-istituzionale reggiano ed emiliano. Un formidabile strumento di produzione di ricchezza ma anche di conquista del consenso sociale per la sua capacità di garantire servizi alle imprese emiliane a costi notevolmente più bassi di quelli di mercato. Tanta ricchezza improvvisa ha legittimato il sodalizio anche nei confronti di quei poteri che istituzionalmente avrebbero dovuto contrastarlo e che invece hanno stretto con esso patti di reciproco scambio e convenienza: voti in occasione di competizioni elettorali, gestione di finanziamenti per opere pubbliche, orchestrazione di campagne di stampa favorevoli da parte di giornalisti complici, acquisizione di notizie riservate da parte di prezzolati appartenenti alle Forze dell’Ordine. L’organizzazione criminale si è così legittimata come componente del sistema economico e produttivo.

Oggi dobbiamo essere ottimisti, per la capacità mostrata nel contrasto, o pessimisti, per una rigenerazione dei gruppi criminali che sembra non avere fine?
È innegabile che in questi anni si siano sedimentate competenze e culture professionali tra gli attori istituzionali che non dovrebbero più consentire le sottovalutazioni del passato. Tuttavia è altrettanto innegabile che, anche dopo Aemilia, il territorio di Reggio continua a essere il centro di riferimento per il nord della criminalità organizzata.

Non rischiamo di esagerare nel dipingere Reggio Emilia come una capitale del malaffare e dell’illegalità?
Gli indici di delittuosità degli ultimi due anni rivelano l’estrema dinamicità della criminalità presente in questa provincia, dove sono stati consumati 8 omicidi volontari, 20 tentati omicidi, 34 omicidi colposi, 148 incidenti sul lavoro di cui 12 mortali. Lo dicono i dati forniti da Questura, Comando provinciale dei Carabinieri e Comando della Guardia di Finanza. Questo è un territorio dove risiedono ed operano da diversi decenni matrici criminali di diversa origine nazionale e internazionale: nigeriani, gambiani, ghanesi, cinesi, georgiani, albanesi, vietnamiti, pakistani, indiani, ucraini e moldavi, che si sono aggiunti alle comunità già da tempo radicate e provenienti dai Paesi del Nord Africa. I gruppi agiscono spesso in forma organizzata, anche con metodi mafiosi e per fini economici rilevanti, con modalità predatorie e con una forte incidenza sui beni della vita, dell’incolumità personale e della libertà individuale e sessuale.

Si riferisce al caso di Saman Abbas?
Nell’ambito dei delitti di violenza domestica e sessuale nel nostro territorio si sono registrati negli ultimi anni alcuni dei casi più cruenti di femminicidio a livello nazionale. La vicenda di Saman Abbas, la diciottenne pakistana uccisa nel 2021, è nota in tutta Italia ma non è l’unica. Le vittime sono giovani donne che intendevano emanciparsi da contesti familiari o da relazioni coniugali o affettive condizionati dalle culture di provenienza. Sul versante del traffico di stupefacenti l’operato di Polizia e Carabinieri ha consentito di sequestrare nel solo 2023 oltre 150 kg di cocaina, con un incremento del 100% rispetto ai due anni precedenti. Ciò significa che gruppi criminali, nazionali ma anche esteri come quelli albanesi, trovano in Emilia una rete di sostegni logistici e organizzativi per espandersi nel nord Italia.

E i cosiddetti reati dei colletti bianchi?
Ovviamente non vanno dimenticate le fondamentali indagini in materia di esercizio delle attività della Pubblica Amministrazione, ora al vaglio della magistratura giudicante, che hanno documentato abusi e molteplici illegalità nell’assegnazione di appalti di competenza comunale e nell’affidamento dei minori con procedure riconosciute condizionate da interessi privati che hanno creato traumi profondissimi a bambini in tenera età e alle loro famiglie originarie.

Non solo ‘ndrangheta quindi. Perché Reggio Emilia?
È l’analisi della struttura economica e imprenditoriale della Provincia a rivelare le radici della questione criminale. Nel territorio opera il 12% delle imprese regionali e siamo al 2° posto in regione per quanto riguarda il numero di società quotate in borsa. In più Reggio Emilia è al 12° posto nella graduatoria delle province italiane per valore di merci esportate. Nel 2022 il Pil reggiano è cresciuto del’4,4%, evidenziando un recupero superiore di un punto e mezzo rispetto alla media regionale, di 2 punti sopra la media nazionale, dell’area Euro, degli Usa e del Pil mondiale.

Insomma: è una zona molto ricca.
Parallelamente la mappatura effettuata dall’Uif della Banca d’Italia, documenta che Reggio Emilia si pone (dopo Milano e insieme a Brescia) come la provincia del Nord Italia con la più alta incidenza di possibili infiltrazioni e di riciclaggio di proventi illeciti. Il territorio della provincia di Reggio Emilia, inoltre, è quello nel quale si concentra il più alto numero di interdittive emesse ogni 100 mila abitanti (pari a 8,3): più del doppio rispetto alla media nazionale (3,3). Nel 2022 sono state emessi dalla Prefettura 106 provvedimenti interdittivi, il doppio di Reggio Calabria e Catanzaro, addirittura il quintuplo rispetto a Palermo. Dunque, nonostante lo scrupoloso scandaglio svolto in Aemilia, e ancora più recentemente nei procedimenti Grimilde del 2019 e Perseverance del 2021, la presenza della ‘ndrangheta e della criminalità organizzata nella provincia di Reggio Emilia richiede ancora di essere analizzata in tutte le sue manifestazioni militari, economiche e delle relazioni con il mondo delle professioni e delle istituzioni.

Facciamolo partendo da una considerazione quasi scontata: se la ‘ndrangheta è sempre più forte e affidabile nella fornitura di servizi per arricchirsi ed evadere il fisco, significa che la domanda di questi servizi è a sua volta in crescita?
Arriviamo qui al cuore della questione criminale, dove si colloca il protagonismo di quegli imprenditori e di quei professionisti che, attraverso il ricorso massivo alla frode fiscale su scala nazionale e internazionale e alle raffinate operazioni di interposizione societaria, garantiscono alle imprese della ‘ndrangheta, ma non solo, un servizio essenziale per affermarsi sui mercati, svincolarsi dalla concorrenza e assumere posizioni di controllo. Il territorio emiliano rivela un dato inedito rispetto al resto del Paese: in Emilia sono state documentate organizzazioni criminali, non solo di stampo mafioso, che assicurano il “servizio” della frode fiscale e il successivo reimpiego dei proventi illeciti ad imprese sparse su tutto il territorio nazionale, alcune produttrici di noti brand commerciali. C’è dunque una domanda di economia illegale da parte di una amplissima platea di utilizzatori che viene soddisfatta con il concorso di professionisti esperti, necessari per portare a termine operazioni sempre più sofisticate.

Questa domanda di economia illegale è in crescita?
I flussi in entrata delle notizie di reato in materia economica pervenute alla Procura della Repubblica di Reggio Emilia non lasciano dubbi: negli ultimi cinque anni si è avuto un incremento costante e solo nell’ultimo anno il balzo in avanti è stato di quasi il 70% rispetto all’anno precedente.

Il contesto normativo di riferimento è un elemento imprescindibile in questa battaglia. Dalla riforma del Codice penale e dell’Ordinamento giudiziario alla modifica delle procedure sulle interdittive antimafia, sono diverse le riforme che accendono il dibattito politico. Quale di queste nuove leggi facilita il vostro lavoro e quale invece lo rende più complesso?
Negli ultimi anni la produzione alluvionale di norme sul processo penale, tra quelle approvate, in cantiere o anche soltanto annunciate, non aiuta il sistema giudiziario a metabolizzare le riforme volute dal Parlamento, poichè ognuna di esse necessita di periodi di adeguamento e di stabilizzazione che non sono compatibili con i tempi di durata delle maggioranze parlamentari e di governo che si sono succedute.

Negli ultimi giorni si è molto discusso dell’abolizione dell’abuso d’ufficio: secondo il guardasigilli Nordio non è un reato spia, contrariamente a quello che sostengono molti suoi colleghi. Lei come la pensa?
Il reato di abuso di ufficio è un fondamentale presidio di legalità a tutela dell’uguaglianza di tutti i cittadini e abolirlo è un clamoroso errore strategico. Oltretutto si deve considerare che, in territori dove la ‘ndrangheta non si manifesta con il suo potenziale militare bensì attraverso l’impresa mafiosa, il ruolo delle Procure circondariali, come Reggio Emilia, è essenziale per cogliere quei reati spia che in superficie non rivelano connotati di mafiosità ma il cui approfondimento invece è essenziale per svelare il reticolo di
collusioni affaristico-clientelare che vi sta alla base.

Per fare al meglio questo lavoro servono risorse economiche, uomini e mezzi. Li avete?
Il tema delle risorse è il vero punto dolente dell’apparato giudiziario perché gli organici di Magistrati e Personale Amministrativo sono rimasti sostanzialmente invariati nel tempo e anzi si sono ridotti. Il problema, che investe più in generale l’adeguatezza dell’azione della Pubblica amministrazione sul piano nazionale, non riguarda solo le Procure ma in genere anche le Forze di Polizia in relazione alle quali qui a Reggio Emilia si sono gettate le premesse per una revisione degli attuali organici. Più in generale è indispensabile che l’intera società accresca la propria sensibilità, il desiderio di conoscere, la disponibilità ad operare per dare ciascuno il proprio contributo. Si tratta di una precondizione indispensabile per fare uscire il tema dalla ristretta cerchia degli specialisti e farlo diventare un progetto collettivo, una lotta di popolo come sosteneva Pio La Torre.

È ottimista sul futuro?
Purtroppo ciò che ci sta davanti non induce all’ottimismo. L’aspettativa di una reale presa di coscienza, al di là delle tante e continue dichiarazioni di circostanza, degli operatori del mercato, dei professionisti e anche di quella parte della classe politica che non avverte la pericolosità attuale della criminalità organizzata per la tenuta del sistema democratico nel suo complesso, ovviamente non può venire meno ma va sorretta da gesti concreti.

Il rischio quale è?
Che finita l’ondata delle grandi mobilitazioni sociali, l’illusione repressiva consegni il tema del contrasto alla criminalità organizzata agli specialisti di settore lasciando deresponsabilizzato il resto della società. Ed è un rischio che si corre non solo a Reggio Emilia, ma in tutto il Paese.

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