L’inaugurazione presso il Tribunale di Marsala del museo dedicato a Paolo Borsellino è stata l’ennesima occasione persa, infatti l’onorevole Chiara Colosimo, presidente della Commissione Antimafia (nonostante lo scellerato abbraccio con l’ex Nar Luigi Ciavardini) è riuscita ad indossare ancora la maschera della devota depositaria del lascito morale di Borsellino, senza che nessuno abbia eccepito alcunché. Una impostura alla quale c’è il rischio di abituarsi, mentre mai come oggi servono chiare scelte di obiezione di coscienza.

Colosimo nel suo intervento, imbibito della commozione autentica di molti presenti a cominciare dal figlio di Paolo, Manfredi Borsellino, ha potuto impunemente mettere nuovamente in scena la parte di chi oggi stigmatizza le ambiguità della politica e della magistratura di ieri, di chi oggi si fa carico della missione della verità, affermando in un crescendo retorico:

“Lo dico a coloro che indossano la fascia, in un momento in cui si cerca lo scontro con le autorità giudiziarie, in un momento in cui spesso si pensa al consenso immediato (…) questa è una storia (quella di Paolo Borsellino) che riguarda innanzitutto la politica, che non si è accorta colpevolmente di quello che in quegli anni stava accadendo e che non può rischiare oggi di fare lo stesso, perché è vero (…) noi abbiamo messo in campo una legislazione antimafia straordinaria, ma è altrettanto vero che tentennare su alcuni temi in questi giorni rischierà di rendere fallibile anche l’uomo che è stato infallibile fino al giorno della sua morte (? Sintassi oscura, nda) e davanti a questo noi non possiamo sottrarci in nessun modo”

Mi è impossibile ascoltare queste parole e non pensare che a pronunciarle è una campionessa della destra di governo che sta attuando a tappe forzate un disegno reazionario e regressivo senza precedenti nella storia repubblicana. Un disegno stigmatizzato da autorevoli voci.

Libera, per esempio, all’indomani dell’intervento del ministro Nordio in Parlamento sulle priorità della Giustizia ha diramato un comunicato durissimo nel quale scrive tra l’altro: “Il governo favorisce gli abusi di potere. (…) E’ riconoscibile una volontà di indebolire tutti i meccanismi di controllo istituzionale e civico sulla gestione del potere pubblico (…) Basta citare sul versante penale la cancellazione del reato di abuso di ufficio (…) il drastico restringimento del reato di traffico di influenze illecite, la stretta sulle intercettazioni; l’ennesima riforma della prescrizione che ne restringe i termini di nuovo a vantaggio dell’impunità dei potenti (…) conferma la insofferenza di questa maggioranza nei confronti dei meccanismi istituzionali di salvaguardia dello Stato di diritto tra cui l’indipendenza della magistratura e della informazione”.

Giudizi in sintonia con quelli del presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, che tra l’altro invoca il rispetto del ruolo costituzionale del Csm, come ha fatto anche uno dei suoi più autorevoli componenti, Nino Di Matteo. Giudizi in sintonia con quelli del capo della Dda di Bari, Roberto Rossi, che a Repubblica dice: “con queste norme si blocca la lotta alla mafia”, con quelli del Procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Paci, che rispondendo al Fatto invoca lo stop alla cancellazione dell’abuso d’ufficio e rivendica il ruolo delle interdittive antimafia. Persino Giulia Bongiorno, leghista, presidente della Commissione Giustizia del Senato, intervistata da Milella, pare prendere le distanze (almeno formalmente) da certe derive e dai “black out” all’informazione (anche se, su X, Costa già festeggia l’imminente semaforo verde proprio del Senato al suo emendamento “bavaglio” sulle OCC).

E Colosimo? Tace. Pare che non la riguardino queste cose. Pare che non la riguardi nemmeno la guerra ingaggiata contro le misure di prevenzione patrimoniali, finite persino sul banco degli imputati alla Corte EDU di Strasburgo (ma la nostra non era una “legislazione anti mafia straordinaria”?).

Eppure il Paolo Borsellino, preteso maestro di moralità e di senso dello Stato, non si limitò a dare la caccia a mafiosi e collusi, ma criticò pubblicamente le scelte sbagliate che si stavano compiendo a Palermo da quando Giudice Istruttore era diventato il consigliere Meli, accusandolo di avere smobilitato il pool antimafia, polverizzato i procedimenti e marginalizzato lo stesso Falcone. Paolo Borsellino non esitò neppure a firmare con altri magistrati una lettera aperta indirizzata a Giovanni Falcone, criticando apertamente il primo progetto di super procura antimafia.

Insomma: una devozione intermittente quella di Colosimo.

Ma i nodi verranno al pettine ed il pettine smetterà di lisciare il pelo della ipocrisia. Anche per questo sarà importante seguire l’audizione in Antimafia di Gioacchino Natoli, martedì alle 12:00 (in diretta sulla web TV della Camera). Non abituarsi è una forma di resistenza, praticare concreti atti di obiezione di coscienza è un modo per restare vivi, vigili, sovrani.

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