Sarà la corte d’Appello di Trento a esaminare la richiesta di revisione di Salvatore Benigno, condannato per la strage di via Palestro. La sera del 27 luglio del 1993 furono cinque le vittime della Fiat Uno imbottita di esplosivo, parcheggiata di fronte al Padiglione d’Arte contemporanea. Condannato all’ergastolo dalla corte d’Assise di Firenze nel 1998, Benigno ha ottenuto dalla Cassazione una parziale apertura alla sua richiesta di revisione.

In realtà l’uomo di Cosa nostra aveva chiesto di rivedere la sua posizione anche nei processi sulle bombe piazzate nei pressi delle chiese di San Giorgio in Velabro e San Giovanni in Laterano, a Roma, esplose poco dopo la strage di via Palestro. Per gli attentati nella capitale, però la Suprema corte ha confermato la decisione della Corte d’appello di Torino, che nel gennaio del 2023 aveva respinto l’istanza di Benigno. Al contrario, però, ha annullato la sentenza per quanto riguarda la strage di via Palestro.

Toccherà dunque ai giudici di Trento riaprire parzialmente il processo su una delle stragi più misteriose della storia d’Italia. Più di trent’anni dopo, infatti, non si conosce ancora oggi l’identità di chi materialmente guidò la Fiat Uno fino alla zona del Padiglione d’arte contemporanea. Alcuni testimoni parlarono di una donna bionda, che la procura di Firenze sostiene di aver individuato nel marzo del 2022 in Rosa Belotti, una 59enne di Bergamo. A preparare l’autobomba fu invece Gaspare Spatuzza, uomo di fiducia dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Brancaccio. Divenuto un collaboratore di giustizia nel 2008, Spatuzza ha escluso che Benigno avesse fatto parte del gruppo di fuoco entrato in azione a Milano. A indicarlo tra i mafiosi che fecero spola tra il capoluogo lombardo e Roma nei giorni delle stragi fu Antonio Scarano, detto Saddam, un calabrese che era diventato l’uomo di fiducia di Matteo Messina Denaro nella capitale. I giudici di Trento, dunque, dovranno riesamente in istruzione dibattimentale le dichiarazioni dei collaboratori. Soprannominato ‘u picciriddu (il bambino), Benigno aveva 28 anni all’epoca delle stragi e affiancava alla sua attività da uomo di Cosa nostra quella di studente di medicina. Arrestato nel 1995, si è laureato in carcere dieci anni dopo, specializzandosi in Ortopedia.

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