C’è una squadra che in campo è stata protagonista di un’impresa sfumata all’ultimo minuto che avrebbe potuto cambiare le sorti del campionato. C’è la stessa squadra che fuori dal campo purtroppo è protagonista delle cronache e del mercato, con i guai giudiziari della proprietà e le cessioni in serie dei suoi pezzi pregiati. Il bel Verona che per 90 minuti ha tenuto testa all’Inter campione d’inverno, uscendo da San Siro tra gli applausi e tra le polemiche per le decisioni del Var, forse non esista già più: rischia di diventare l’ennesima squadrafantasma” della Serie A.

Eppure a vederla così tonica e generosa, nessuno direbbe che è una formazione in via di smantellamento. Di questo bisogna fare i complimenti ai suoi giocatori, che molto spesso vengono criticati e trattati come mercenari, ma avrebbero potuto benissimo scendere in campo in pantofole, rimediare la classica imbarcata contro la capolista e nessuno avrebbe detto nulla, invece hanno onorato la maglia fino all’ultimo. Il problema è che questa potrebbe essere stata l’ultima partita “vera” del Verona: Hien è già stato venduto all’Atalanta, come il giovane e promettente Terracciano, destinazione Milan; il capitano Faraoni è rimasto 90 minuti in panchina, insieme a Hongla, promesso al Granada; per la stella Ngonge c’è la fila, il terzino Doig pure è in partenza. Chi ci sarà domenica prossima è un mistero.

Da tempo ormai l’Hellas non è più il club sano che con Juric e Tudor in panchina sfiorava l’Europa e sfornava talenti. Il player trading sempre più spinto ha finito per appesantire le casse di ammortamenti e stipendi, il resto lo hanno fatto i problemi del presidente Maurizio Setti: già a dicembre il patron era stato indagato con l’accusa di false fatturazioni, con la smentita del coinvolgimento diretto del club; poi il sequestro preventivo delle quote del Verona, nell’ambito di un’altra inchiesta per bancarotta, relativa al contenzioso con il gruppo Volpi. Sta di fatto che in una condizione finanziaria (e non solo) del genere, il Verona adesso ha un solo obiettivo: vendere, vendere, vendere.

Qui la questione però non è tanto la storia individuale del Verona, ma un’altra: è mai possibile ritrovarsi con un club che a gennaio smantella completamente la squadra, falsando inevitabilmente la regolarità della lotta per la retrocessione (un posto sembra ormai assegnato) e più in generale di tutta la competizione? Queste cose un tempo succedevano in Serie C, ormai sono all’ordine del giorno persino in Serie A. L’incredibile caso del Parma è datato, ma è una ferita ancora aperta. L’anno scorso la Sampdoria ha giocato col presidente arrestato, e l’assillo di stipendi e penalizzazioni, condannata in partenza a una retrocessione che poi è arrivata sul campo da ultimissima in classifica, per poi iscriversi comunque alla Serie B in maniera rocambolesca. Ora è la volta del Verona.

Tutto questo intacca quel poco di credibilità che è rimasta al calcio italiano. Forse non esisteva e non può esistere una regola per cui il Verona non avrebbe dovuto partecipare a questo campionato, anche perché a livello giudiziario la situazione è precipitata solo nelle ultime settimane. Ma è pur vero che le difficoltà di Setti e dell’Hellas sono note da tempo, e queste cose succedono solo in Italia. Qualcosa andrà pur fatto perché un sistema che consente tutto ciò non è un sistema serio. E questo ci riporta ancora una volta all’esigenza della famosa riforma dei campionati, che significa controlli veri sulle proprietà e sulle situazioni finanziarie dei club, e probabilmente anche meno squadre. Perché 20 in Serie A sono troppe, se sono queste.

Twitter: @lVendemiale

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