È mancato stamattina a Torino, all’età di 98 anni, il compagno Gastone Cottino. La vita del professor Cottino andrebbe raccontata nelle scuole perché emblematica di quella meglio gioventù che ha permesso all’Italia di riscattarsi dalla guerra e dalle brutture del fascismo, e nello stesso tempo di ricercare con intelligenza e determinazione una strada che coniugasse la democrazia con la giustizia, la libertà con l’eguaglianza.

Cottino è diventato partigiano, gappista, non ancora ventenne. Abitava a Torino dalle parti della questura e con un coraggio e un sangue freddo che risulta difficile da immaginare svolgeva la sua attività sovversiva clandestina incrociando quotidianamente i funzionari fascisti che lo avrebbero voluto torturare. Difficile pensare come possa essere complessa a 18 anni una attività di tal fatta, che metterebbe a dura prova il sistema nervoso di persone più mature: questo è stato l’apprendistato di Cottino e grazie a tanti ragazzi e ragazze con il suo stesso coraggio l’Italia ha potuto uscire dalla vergogna del fascismo e del collaborazionismo con il nazismo. Poi Cottino è diventato comunista e lo è rimasto per tutta la vita: prima nel Pci, poi in Rifondazione Comunista. Perché Cottino non è stato mai un uomo dalle scelte facili, non è mai stato un pecorone o un signorsì: Gastone non solo è rimasto fedele ai suoi ideali di gioventù ma con l’intelligenza che lo caratterizzava ha affinato i suoi ragionamenti, ha reso più solide le sue argomentazioni.

Di Cottino non si può dire solo che sia stato coerente: significherebbe sminuirne la figura, perché Cottino è stato certamente coerente ma lo è stato in modo critico, dialettico, travagliato. Cottino non è rimasto comunista tutta la vita ma ha riscoperto del ragioni profonde del proprio essere comunista giorno dopo giorno, discussione dopo discussione, dubbio dopo dubbio. Per questo Cottino non solo è stato coerente ma è stato lucido, problematico e innovatore: Gastone non era un chierico ma un intellettuale comunista con il tarlo del dubbio e la capacità di andare oltre al dubbio, di cercare soluzioni. Così intelligente e con radici così robuste da riuscire a non subire il fascino del pentimento, quel fascino che ha ammaliato tanti in questi decenni.

Così allo scioglimento del Pci è stato tra i fondatori di Rifondazione Comunista; nelle difficoltà che Rifondazione Comunista ha attraversato e attraversa nel costruire una alternativa al neoliberismo e al bipolarismo dei guerrafondai, Cottino non ha mai abbandonato la sua ricerca sull’alternativa, così come non ha abbandonato la comunità dei compagni e delle compagne. E’ stato liberamente comunista e, fatemelo dire, è stato intelligentemente comunista. Tant’è che la sua scelta di parte non si è espressa solo nella vita politica ma anche nell’accademia: la denuncia dei caratteri dispotici dell’imperialismo è così entrata – grazie a Gastone – a far parte dei programmi di studio degli studenti nella facoltà di giurisprudenza. Non sappiamo per quanto tempo, ma mi piace sottolineare come gli anni migliori dell’università italiana abbiano coinciso con l’attività e la capacità di docenti liberi e pensanti come Cottino, che hanno saputo portare nell’università una visione scientifica della realtà che cercasse spiegazioni generali dei fenomeni sociali, che puntasse a costruire un sapere in grado di padroneggiare la comprensione del presente e non ad esserne fagocitata. Il contrario della situazione odierna, in cui le scelte di governo dell’Università che spezzettano i saperi in una serie infinita di particolarismi nozionistici punta a trasformare gli intellettuali in cantori e non in critici.

L’impegno di Cottino sul piano politico si è quindi accompagnato alla sua attività di docente ed è stato uno dei tratti che hanno contribuito non poco alla costruzione di quella Torino antifascista e comunista che per lunghi decenni ha saputo costruire un contraltare allo strapotere della Fiat e della famiglia Agnelli. La Torino che riconosceva il suo essere la città dei Gramsci e dei Gobetti non è nata dal nulla ma proprio dalla vita, dalla pratica e dal rigore morale e intellettuale di compagni come Cottino.

Voglio terminare questo breve ricordo sottolineando la dolcezza e la carica umana del nostro. Gli anni ne avevano segnato il fisico ma non lo spirito, e questo misto di fragilità e di determinazione aveva sottolineato una volta in più l’umanità di Gastone. Ci è capitato più volte di discutere di questi aspetti e mi ha sempre fatto piacere trovare in questo uomo, che pure aveva saputo rischiare più di quanto è umanamente sopportabile, la consapevolezza che non siamo chiamati ad essere dei supereroi: siamo chiamati, uomini e donne in carne ed ossa, ad assumere le nostre responsabilità a partire dalle nostre fragilità, consapevoli che la ricerca dell’onnipotenza è un delirio patologico e non un obiettivo dell’uomo nuovo.

Proprio questa consapevolezza dell’umana fragilità sottolinea una volta in più l’importanza di quanto fatto da Cottino l’anno scorso, quando fu protagonista di una forte chiamata di responsabilità nella lotta contro i fascisti che governano l’Italia. Anche a 98 anni, nella piena consapevolezza della sua debolezza, Gastone non è stato a guardare rassegnato ma ha lanciato l’allarme sui fantasmi che tornavano. Oggi piangiamo la morte di Cottino ma sappiamo che il nemico più grande, la rassegnazione, Gastone è stato in grado di sconfiggerlo nel corso della sua lunga vita. Nel salutarlo lo ringrazio quindi per il suo esempio e per aver voluto condividere con noi larga parte della sua esistenza e del suo impegno. Grazie Gastone, la terra ti sia lieve.

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