Il viceministro dell’Economia con delega al fisco Maurizio Leo ha il dono dell’ottimismo. Tanto da ritenere evidentemente del tutto sbagliate per difetto le stime messe a punto dal suo stesso dicastero riguardo ai risultati delle nuove misure di “collaborazione tra fisco e contribuente” varate dal governo negli ultimi mesi. Non si spiega altrimenti la convinzione, espressa in un’intervista al Corriere a valle del sì alla riforma (a tempo) dell’Irpef, che la strada per replicare anche nel 2025 l’accorpamento delle prime due aliquote e il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro sia in discesa. Grazie alle risorse che arriveranno da concordato preventivo biennale per gli autonomi, cooperative compliance allargata per le imprese e global minimum tax. Oltre che dalla “crescita del pil”, per ora solo una speranza.

Il punto è che prorogare l’Irpef a tre aliquote e lo sgravio contributivo costerà circa 15 miliardi, da trovare con la prossima legge di Bilancio proprio mentre entra in vigore il nuovo Patto di stabilità che impedisce manovre in deficit come quella appena approvata. E gli interventi citati da Leo, contenuti in altrettanti decreti attuativi della delega fiscale, stando alle rispettive relazioni tecniche nel 2025 porteranno nelle casse dello Stato solo 1,1 miliardi malcontati.

Dal concordato l’ultima rt bollinata ipotizza 1,2 miliardi di gettito aggiuntivo nel 2024 e 610,5 milioni nel 2025. Le nuove norme contro l’evasione Iva negli acquisti intracomunitari dovrebbero portare altri 71,5 milioni nel 2024 e 143 dal 2025, anche se i tecnici prudenzialmente prevedono che nel Fondo per l’attuazione della delega fiscale vadano iscritti solo i 1,1 miliardi per il 2024 e 582 milioni per il 2025. Quanto all’allargamento dell’adempimento collaborativo con le Entrate, a cui potranno accedere imprese con fatturati via via decrescenti, il governo nella rt prudenzialmente non quantifica gli effetti positivi sul gettito e si limita a prevedere che dovrebbe “compensare la diminuzione della sanzione applicata”. Zero entrate aggiuntive, insomma. Infine c’è l’imposta minima del 15% sulle multinazionali, che diversi esponenti della maggioranza vedono come panacea di tutti i mali ma che nel 2025 darà un incasso di soli 381 milioni.

Non va molto meglio anche a voler tenere conto dei piccoli e medi balzelli inseriti dal governo Meloni nella legge di Bilancio, che Leo non ha citato: dalle norme per il contrasto all’evasione (dall’obbligo di ritenuta di acconto sulle provvigioni percepite dagli agenti di assicurazioni all’aumento delle ritenute sui bonifici parlanti) e da quella sui pignoramenti, grazie alla quale l’agente della riscossione potrà farsi dire dalla banca dell’evasore quanti soldi ci sono in quel momento sul suo conto corrente, sono attesi nel 2025 poco più di 2,2 miliardi. Per arrivare a 15 ce ne vuole. Un contributo lo darà la scelta di cancellare l’Aiuto alla crescita economica, un’agevolazione fiscale che dal 2011 incentiva il reinvestimento degli utili in azienda: il risultato è che dal 2025 le imprese pagheranno 4,8 miliardi di tasse in più. Una parte delle risorse (1,3 miliardi) dovrebbero tornare nelle loro casse attraverso la super deduzione del costo lavoro per chi assume a tempo indeterminato, ma per lo Stato ci sarà comunque un guadagno netto di 3,48 miliardi.

In tutto, le possibili entrate aggiuntive legate agli interventi varati finora valgono comunque solo 6,7 miliardi, meno di metà di quel che servirà per non fare marcia indietro sui mini aumenti in busta paga rivendicati dal governo. E al netto di tutti gli altri interventi che dovranno trovare spazio in manovra. Una ripresa della crescita, altro auspicio di Leo, potrà aiutare perché con il pil sale anche il gettito. Ma il nuovo Patto imporrà all’Italia di realizzare anche un aggiustamento fiscale, cioè ridurre le uscite o aumentare le tasse. Quindi la coperta rimarrà corta.

In questo quadro, fa specie che Leo si dica anche convinto che l’anno prossimo “ci saranno le risorse per andare avanti con la riduzione delle imposte” agendo anche a vantaggio di chi ha un imponibile oltre i 50mila euro. L’obiettivo, dice il tributarista di Fratelli d’Italia, è scendere a due aliquote per aiutare anche quei contribuenti, che stando alle ultime dichiarazioni dei redditi sono il 6% più benestante della popolazione italiana. Anche “mettendo mano al riordino delle tax expenditure”, le detrazioni ed esenzioni fiscali da cui tutti i governi dicono di voler attingere salvo rendersi conto che tagliarle significa mettersi contro ampie fasce di elettorato (o piccole lobby agguerrite). Subito dopo, ovviamente, dovrebbe arrivare la flat tax, che resta “obiettivo di legislatura”. Tutta questione di ottimismo.

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