Il governo non ha deciso quale saranno le strade percorribili per tirare l’ex Ilva fuori dalle sabbie mobili. E la titubanza dell’esecutivo già agita i sindacati metalmeccanici. Perché nell’incontro con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e i ministri Raffaele Fitto (Pnrr), Adolfo Urso (Imprese) e Marina Calderone (Lavoro), l’esecutivo ha messo sul tavolo tre opzioni: un accordo con il socio privato entro l’8 gennaio, la separazione consensuale o l’amministrazione straordinaria.

Dai piani del governo, quindi, sembra scomparire il piano cullato per mesi da Urso, quello di una salita in maggioranza di Invitalia (38% delle quote) liquidando ArcelorMittal (62%). Magari verrà messo sul tavolo ma quelle condizioni finora non sono mai andate bene al socio privato. Nei prossimi dieci giorni ci sarà quindi una sostanziale vittoria, almeno del breve termine, della linea di Fitto che ha sempre caldeggiato un rilancio degli impegni di Mittal in Acciaierie d’Italia senza spostamenti di quote oppure si aprirà il baratro di incertezze. Sul piatto rimarrebbero il rilancio da parte di imprese italiane (si continua a parlare di Arvedi) o l’amministrazione straordinaria che sancirà un ritorno indietro di 12 anni con rischi occupazionali diretti e per l’indotto.

“Quello che vi vogliamo far capire è che l’8 gennaio sarà la deadline, la linea rossa oltre la quale non si può andare nella risposta che Mittal ci dovrà dare per assumere noi, poi, scelte conseguenti”, hanno spiegato i ministri ai segretari di Fiom, Uilm, Fim, Usb e Uglm. “Vorremmo evitare – hanno aggiunto – l’amministrazione straordinaria”. Per poi assicurare che, in ogni caso, il governo “garantisce la continuità produttiva degli impianti”. Alla luce delle mosse degli ultimi mesi di ArcelorMittal, quindi, lo scenario dell’amministrazione straordinaria è a oggi quello più probabile, salvo un accordo in extremis o l’immediata disponibilità di un player italiano dell’acciaio.

Il colosso franco-indiano si rifiuta infatti da mesi di seguire la strada indicata da Invitalia che vorrebbe una ricapitalizzazione di 1,32 miliardi di euro, destinati in parte (320 milioni di euro) al fabbisogno immediato della società per ripianare i debiti e pagare i fornitori e nella sua maggior parte (1 miliardo di euro) all’acquisto degli asset da Ilva in as così da poter avere garanzie che darebbero nuovamente accesso al credito con le banche. Appare molto improbabile che, dopo un mese di fumate nere in Cda e in assemblea dei soci, Mittal decida di pompare nelle casse di Acciaierie d’Italia i 900 milioni di euro che le spetterebbe versare detenendo il 62% della società. Ma ha anche rigettato l’idea di scendere in minoranza e mollare i ruoli di comando dell’azienda, che vorrebbe dire investire quasi mezzo miliardo di euro per non decidere nulla.

Da qui, l’ipotesi che l’ex Ilva vada ormai dritta verso una nuova amministrazione straordinaria che sancirebbe il definitivo fallimento del piano di vendita impostato da Federica Guidi e finalizzato da Carlo Calenda. Negli ultimi anni è apparso evidente a chiunque che le mosse di Mittal convergessero verso un depauperamento degli impianti, finalizzato – è l’accusa tra gli altri anche di pezzi del Pd – a un sostanziale svuotamento delle quote di mercato dell’acciaieria più grande d’Italia dopo aver impedito che finisse nelle mani di un concorrente. L’obiettivo, fosse davvero quello, è a un passo dal compiersi.

“Dobbiamo rompere questa situazione ed evitare l’amministrazione straordinaria perché metterebbe in serio pericolo le garanzie occupazionali”, avvisa il leader della Fiom Michele De Palma sottolineando che “siamo a un passo dallo scontro perché abbiamo chiesto al governo, in due incontri, di assumere una posizione chiara con Mittal con l’assunzione di responsabilità e la salita pubblica e a oggi ci sono state riproposte altre due soluzioni che non vanno nella direzione auspicata dai lavoratori e dal sindacato, quindi il governo si sta assumendo una responsabilità e lo devono sapere”. Duro anche il segretario della Uilm Rocco Palombella: “Per noi non c’è più tempo da perdere, non c’è nessuna condizione per continuare a far gestire l’ex Ilva da ArcelorMittal. È una vergogna inaudita che contrasteremo con ogni mezzo. Noi continueremo a lottare fino alla fine perché non saremo mai complici di questo scempio e di una chiusura che rappresenterebbe un disastro senza precedenti. Senza cambio di governance non ci può essere un futuro”.

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