È andata bene, molto meglio di tante previsioni. Nonostante banche centrali ancora sulla difensiva e persistenti crisi internazionali, il 2023 è stato un anno da incorniciare su molti mercati, permettendo di recuperare, in tutto o in parte, i pesanti cali che nel 2022 avevano colpito la quasi totalità gli asset. Probabilmente il pessimismo era già incorporato nelle flessioni dell’anno scorso. Il resto è stato tutto di guadagnato. Le banche centrali hanno fatto quello che più o meno ci si aspettava che facessero, l’economia ha rallentato ma non al punto di entrare in recessione, la battaglia contro l’inflazione sembra dare i suoi frutti, e senza che il mercato del lavoro sia stato devastato, sebbene sia presto per cantare vittoria. In compenso, sfruttando l’inflazione, molte aziende hanno alzato i prezzi più dei costi e dei salari, favorendo un incremento dei profitti. La guerra tra Russia e Ucraina è proseguita ma indirizzandosi verso una sorta di tragica normalizzazione e, va detto, i mercati non hanno mai visto come realistica la prospettiva di scenari apocalittici.

L’ultimo trimestre è stato funestato dagli accadimenti a Gaza, tuttavia la crisi sembra per ora circoscritta senza significativi contraccolpi per le forniture di greggio. I prezzi dei beni energetici rimangono su livelli storicamente elevati ma sembrano essersi stabilizzati, non si sono più viste le spaventose oscillazioni, specie per il gas, che avevano caratterizzato il 2022. Si aggiunga che, in questa sorta di danza sull’orlo del caos, a gestire e decidere gran parte degli ordini sui mercati finanziari sono ormai algoritmi, comprensibilmente meno inclini a cedere all’emotività.

Tra le singole piazze finanziarie spicca il Nasdaq di Wall Street che chiude l’anno con un guadagno del 44% mentre l’S&P500, l’indice più importante del mondo, si deve accontentare di rialzo del 24%. Del resto colossi tecnologici quotati sul Nasdaq sono stati i motori della performance azionaria “vendicando” un pessimo 2022. Le azioni Meta (Facebook) hanno quasi triplicato il loro valore (+ 184%), candidandosi tra i migliori investimenti dell’anno. Ma anche Amazon ha portato a casa un lusinghiero + 76%, Alphabet (Google) un + 56%, Apple + 53%, Microsoft + 56%. Dodici mesi da ricordare anche per Tesla (+ 130%). Vera superstar è stato però il produttore di schede video Nvidia che saluta il 2023 con uno spettacolare + 242%.

In Europa lo sprint finale lo vince Piazza Affari. La borsa italiana è cresciuta del 28% non per meriti particolari del sistema Italia, va detto, ma per il semplice fatto che si tratta di un listino in cui i titoli finanziari pesano più che altrove e per le banche, grazie ai rialzi dei tassi Bce, si chiudono 12 mesi particolarmente ricchi. Tra i big milanesi Unicredit ha guadagnato così oltre l’82%, Intesa Sanpaolo il 24%, Bper il 54% e Banco Bpm quasi il 40%. Da segnalare anche il + 80% messo a segno da Leonardo che, come tutte le industrie di armamenti, beneficia delle accresciute tensioni internazionali. Secondo posto per la borsa di Madrid (+ 20%) che precede Francoforte (+ 19%) e Parigi (+ 14%) mentre una timida Londra non va oltre un + 2,3%. La borsa russa registra una crescita del 44%, altro elemento che mette in luce la debolezza dell’impianto sanzionatori predisposto dall’occidente. In Asia Tokyo si porta a casa un rialzo del 30% a differenza di Hong Kong, tra le poche borse a chiudere l’anno in rosso (- 15%)

Sul mercato valutario l’euro si è rafforzato del 2,5% sul dollaro ma a spiccare è il volo del franco svizzero salito di circa il 10% riportandosi sui massimi dal 2015. La Confederazione è stata abile nell’arginare la crisi dello storico Credit Suisse che rischiava di affossare anche l’economia del paese. Viceversa il dollaro chiude il peggiore degli ultimi 3 anni. Dalle valute reali a quelle virtuali, il 2023 ha segnato anche la non scontata riscossa del bitcoin ritornato sopra i 42mila dollari, con una corsa concentrata nell’ultima parte dell’anno che ha portato il guadagno finale al 150%. Le ragioni dell’exploit non sono molto diverse da quelle che hanno spinto altri asset: la presunta fine della stretta monetaria e le scommesse su una significativa riduzione dei tassi. Tassi più bassi significano più soldi in circolazione che possono essere investiti anche in valute digitali.

Universo reddito fisso – Gli ultimi due mesi dell’anno hanno registrato una forte ripresa del valore di bond e titoli di Stato, soprattutto quelli americani, francesi e tedeschi. I rendimenti dei Treasury, i titoli decennali statunitensi che costituiscono la pietra su cui si fonda il mercato del reddito fisso, sono crollati di oltre l’1,1% dal picco che era stato raggiunto in ottobre. Di nuovo a dettare il ritmo sono le banche centrali. È il caso di ricordare che gli interessi che paga un titolo obbligazionario sono fissi in cifra assoluta ma espressi come percentuali del valore del titolo sottostante. Quindi una discesa dei rendimenti significa in realtà un incremento del valore dei bond. Perché questo è accaduto tra novembre e dicembre? Perché le attese sono per una diminuzione dei tassi delle banche a centrali che, a cascata, si ripercuote su tutte le obbligazione. Quindi, ad esempio, un bond decennale Usa già in circolazione sul mercato che paga il 4% acquista valore dal momento che un titolo con le stesse caratteristiche ma emesso tra qualche mese potrebbe offrire il 3,5%.

Oro, petrolio e grano – Materie prime, o commodities, non hanno dato molte soddisfazioni agli investitori. Unica eccezione l’oro passato da 1846 a 2071 dollari l’oncia. Piccolo rincaro per il rame, il metallo più strettamente legato all’andamento dell’economia cinese, che ha guadagnato il 3%. Il petrolio di qualità Brent (estratto nel mare del Nord e che funge da riferimento per i due terzi degli scambi globali) è sceso da 86 a 78 dollari al barile mentre il gas trattato ad Amsterdam è crollato da 83 a poco più di 30 euro al megawatt/ora. Forti cali per i beni alimentari. Il prezzo del grano, nonostante il persistere della guerra in Ucraina, è sceso da 775 a 631 dollari a bushel, il mais è precipitato da 670 a 473 dollari.

Cosa potrebbe accadere nel 2024. Il rischio principale è che se il 2022 era stato caratterizzato da un eccesso di pessimismo, il 2023 abbia esagerato in ottimismo e nel 2024 serva fare i conti con una realtà un po’ più dura di quanto sperato. L’avvio della riduzione dei tassi da parte delle grandi banche centrali è dato per scontato, fatto che tende a spingere i mercati. È in effetti probabile che ciò accada ma potrebbe avvenire ad una velocità più contenuta rispetto alle attese. Le crisi geopolitiche potrebbero rientrare oppure estendersi con tutte le conseguenze che questo potrebbe comportare. Gli attriti nelle relazioni Cina – Usa sono la grande faglia da cui possono originare tanti altri piccoli terremoti, mentre per ora resta improbabile un “big one”. E poi, dopo l’estate, inizierà la giostra delle elezioni statunitensi, sebbene si sia ben visto che, dal punto di vista delle politiche economiche e atteggiamento ossequioso verso i mercati, tra Democratici e Repubblicani non cambi quasi nulla.

Due considerazioni tra le tante che possono essere fatte. L’uranio non è più “radioattivo”. Il ritorno al nucleare è stato sdoganato persino alla conferenza sul clima Cop28 e nel 2023 l’indice Mvis che “traccia” le società che operano nell’industria nucleare è salito del 33%. Qualcuno getta la sua fiche sulla Turchia, dove, assicuratosi la conferma alla guida del paese, il presidente Erdogan, ha autorizzato un’inversione a u nelle politiche monetarie della banca centrale, ora incanalate su prassi più ortodosse. Per i forti di cuori c’è la scommessa Milei in Argentina. Il paese è in svendita ma l’annunciata ondata di privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli alla spesa pubblica piacciono, come al solito, ai mercati. Il nuovo presidente mostra però anche una pericolosa attrazione verso derive autoritarie che potrebbero scatenare tensioni sociali di cui è facile perdere il controllo.

Ad ogni modo, siamo onesti. Non è il caso di fare troppo affidamento su queste e su altre previsioni, molto più vicine all’astrologia che alla scienza. Nessuno sa davvero quel che accadrà e chi dice il contrario inganna. Non lo sanno, in fondo, neppure quelli che hanno in mano le leve più potenti per muovere i mercati: i banchieri centrali. Alla fine dell’anno scorso, in una delle consuete conferenze stampa, il governatore della Federal Reserve Jerome Powell ha risposto più o meno a tutte le domando affermando di non sapere. Quali sono le possibilità di evitare una recessione? “Difficile a dirsi”. Quanto saliranno i tassi di interesse? “È molto incerto”. E altre quattro risposte con “Non lo sappiamo”. Comunque andrà, buon 2024 a tutti.

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