1. Questa volta, nelle mie solite classifiche di fine anno, parto dai migliori. Lo faccio perché voglio togliermi subito da un imbarazzo che mi inquieta. Sono come in un conflitto di interessi.

Posso dire che il più bel programma dell’anno è un programma a cui ho partecipato, sia pure di striscio con un cameo nella parti di me stesso come improbabile professore di storia della televisione, insomma il Gialappa’s Show? Lo dico e basta. Nel deserto dell’intrattenimento televisivo inaridito dal dominio dei format internazionali, dove non ci scappa una risata neanche a pagarla a peso d’oro, brilla la verve dei vecchi gialappi.

Vecchi???? In effetti c’è chi sostiene che il successo del programma sia frutto di un effetto nostalgia: ci si diverte soprattutto perché si torna indietro ai mitici giorni dei Mai dire… Niente di più falso. Il nuovo show è quanto di più attuale si possa immaginare. La loro satira colpisce nel segno rivelando gli aspetti più ridicoli della contemporaneità. Non solo la politica, ovviamente, e la tv ma tutto il costume di casa: la musica, le cantanti, le mode metropolitane, gli aperitivi, lo sport dei ragazzi con gli allenatori beceri, l’intelligenza artificiale, la cultura aziendalistica, l’unica che in questi anni ha esercitato davvero un’egemonia culturale.

Merita un premio Nobel il demotivatore di Toni Bonji ma sono tutti bravi, comprese le coconduttrici e il grandissimo Forest. Vi cito una sua battuta, se mai ve la foste persa: parlando di calcio, ricorda quel vecchio detto per cui “la palla è rotonda” e, aggiunge, “mi spiace per i pallapiattisti”. Chapeau!

2. Credo che ben pochi lo ricordino, ma in una sera della scorsa estate Rai 3 ha mandato in onda un piccolo capolavoro, un doc. intitolato Senza malizia e dedicato a Laura Antonelli realizzato da Bernard Bédrida e Nello Correale. Nella serie di documentari che la tv ha dedicato alle stelle scomparse del nostro cinema in varie occasioni di anniversari, quello dedicato alla Antonelli era il più delicato.

Il suo percorso cinematografico è stato segnato da qualche ambiguità: accanto alle partecipazioni al cinema d’autore non sono mancate le sue presenze in film di serie B; a lungo la sua immagine di pin up ha prevalso su quella di interprete. Infine la sua dolorosa, misteriosa uscita di scena lasciava spazio a possibili cadute nel tranello del gossip. Nulla di tutto questo: un ritratto pulito, ricco di informazioni, con il giusto spazio all’esperienza nel cinema francese che viene di solito ricordata solo per gli aspetti sentimentali e mondani e che invece trova finalmente il giusto rilievo sul piano artistico.

3. Un posto sul podio lo lasciamo a Per Elisa, la serie che Rai 1 ha dedicato alla vicenda di Elisa Claps, un prodotto davvero notevole in cui la componente civile di denuncia di una serie di orrori istituzionali si inserisce in una narrazione tesa, coinvolgente, precisa nei tempi, nei toni, nelle atmosfere. Ma diciamo che la serie di Marco Pontecorvo rappresenta nel nostro podio tutta la rinascita della fiction Rai, in particolare di quella poliziesca che con prodotti come I bastardi di Pizzofalcone o Il metodo Fenoglio è da tempo assestata su livelli di assoluta eccellenza.

Ricordate gli anni in cui la fiction del servizio pubblico con i suoi santini era sbeffeggiata, derisa? “Camomilla per anziani” la chiamava Virzì. Ebbene è cambiato tutto e speriamo che ora qualche bell’ingegno non decida di metter mano al giocattolo che funziona così bene, per promuovere una nuova narrazione, un nuovo sguardo più pluralista di cui proprio non si sente il bisogno.

4. Non sarebbe neppure il caso di segnalarne la presenza tra le cose peggiori, se si accontentasse di essere quello che è in realtà, uno spettacolo brutto, vecchio, di cosce, seni e sederi (tette e culi non si dice). Invece vi siete accorti che ancora una volta Ciao Darwin ci prova. Questa volta, nel titolo della nuova edizione tira in ballo il Vangelo secondo Giovanni, nel celebre passo della pietra e del peccato. Insomma ci risiamo. Gli autori riprendono la loro tiritera, questa volta preventiva, contro chi giudica lo show un volgare baraccone: siete degli ipocriti, dei peccatori che si indignano per dei corpi nudi e chissà quali peccati nascondono.

Insomma siamo di nuovo al tema dello scandalo, della trasgressione, della provocazione con cui i sostenitori di questo obbrobrio, interni ed esterni, hanno cercato di creare attorno al triste show un’aura maledetta. Neanche fosse il teatro di Artaud. Invece è solo quello di Bonolis e Laurenti.

5. L’anno scorso di questi tempi eravamo qui a celebrare l’ottimo risultato, di ascolti e di qualità, ottenuto dalla Rai con i controversi mondiali in Qatar. Speravo fosse un punto di ripartenza per la presenza del calcio nel servizio pubblico, dove è diventato forzatamente un elemento marginale, visto che i diritti di tutte le competizioni sono collocati altrove. La nuova stagione con una nuova dirigenza era un’importante occasione di verifica per i due residui appuntamenti calcistici in palinsesto alla Rai.

Si tratta di due format storici, avvolti nel mito, specie in questi giorno di celebrazioni del settantennale. Sono La domenica sportiva e Novantesimo minuto. E basta la parola, come si diceva in un vecchio Carosello. Ebbene dei due programmi , il primo, la DS, ha trovato un suo equilibrio nella forma del talk largo. Una specie di tavolo alla Fazio, con una conduzione un po’ rigida ma non fastidiosa, un moviolista e chiaro deciso nei giudizi, sprazzi di buonumore affidati agli scambi tra Pecci e Panatta, talvolta un po’ telefonati, altre volte gradevoli.

Il secondo, il leggendario Novantesimo, è sprofondato nell’anonimato più totale. Una conduzione monotona tutta giocata sui primi piani, gli interventi tecnici degli ex grandi calciatori all’insegna della prevedibilità assoluta producono un esito sconsolante. Quello che è stato nella storia un momento di passione, entusiasmo, frenetica attesa, vivace partecipazione, un rito collettivo nazionale è diventato un triste, inutile tran tran.

6. All’ultimo posto della nostra classifica, il peggio del peggio, c’è qualcosa destinato a occupare questa posizione non solo per il 2023, ma molto a lungo, forse per sempre. Ci sono i funerali televisivi di Silvio Berlusconi. Non stiamo a riprendere temi già ampiamente trattati al momento: le reti unificate, lo stile nordcoreano delle dirette, i commenti in studio e dal vivo, la retorica, le mises e gli atteggiamenti di alcune signore improntati a un certo sprezzo del ridicolo.

Ne ha fatto una mirabile sintesi Luca Bottura su La Stampa del 15 giugno. Prendiamo solo un momento. In Piazza del Duomo un gruppo di fanigottoni (scusate il milanese, ma siamo in Piazza del Duomo), con cui mi tocca pure condividere la fede calcistica, sul sagrato della chiesa in cui si celebrano le esequie, si abbandona a una manifestazione non certo originale ma forse un po’ eccessiva: intona il coretto caro al caro estinto “chi non salta/comunista è”.

Ora siamo a un funerale dove, a mio parere, l’unico modo vero di celebrare il lutto è il silenzio, anche gli applausi sono fuori luogo. Si sa, questa è una battaglia persa, ma pensavo che anche la barbarie avesse un limite. Invece, di fronte a questo scempio, l’inviata del Tg5, anziché glissare, far finta di niente per un giusto senso del pudore o chiamare la buoncostume, come si farebbe in un paese civile, che fa? Si commuove. Sipario!

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