di Riccardo Mastrorillo

Dopo la riduzione dei parlamentari la Camera non è più la stessa: spaesati, impauriti, angosciati… i deputati si aggirano nei meandri dell’immenso e complicato palazzo Montecitorio, ormai privi della consapevolezza del loro stesso ruolo. Altro che elezione diretta del “duce”, altro che riforme per “spezzare le reni ai magistrati”, altro che occupazione dell’informazione: negli ultimi trent’anni il Parlamento ha subito una lenta, inesorabile erosione, finché oggi è sostanzialmente ridotto alla totale inutilità. È una crisi che ha tanti, troppi, responsabili, a parziale giustificazione dell’attuale maggioranza, loro almeno lo hanno fatto coerentemente alla loro visione del potere.

Con un ineguagliabile ritardo la legge di bilancio, dopo un lungo lavoro in Commissione, dove il governo e/o i relatori continuavano a proporre emendamenti, mentre quelli dei parlamentari venivano respinti, anzi il governo aveva dato indicazione di non presentarli proprio, così a proporre emendamenti è stata la sola timida opposizione. Ma l’allungamento dei tempi, nel lavoro della commissione, è stato causato, non dall’ostruzionismo delle opposizioni, bensì dai continui ritocchi alla legge fatti di mancette, sperperi, regalie elettorali e sconti agli amici. Finalmente oggi l’aula del Senato, comincerà a discutere in plenaria della legge di bilancio, che, si dice, arriverà alla Camera non prima del 23 dicembre. Tutti i provvedimenti legislativi vengono discussi generalmente solo in un ramo del Parlamento. Per nessuna legge in questa legislatura è stata possibile una terza lettura, poiché il ramo del Parlamento in seconda lettura non ha mai potuto modificarne una.

Il ricorso al voto di fiducia e ai decreti legge ha ormai stabilito un nuovo record e ormai il “carattere d’urgenza” stabilito dalla Costituzione per i decreti legge, è un principio informalmente abolito, ma questo, lo dobbiamo ammettere, come aveva previsto Einaudi, è accaduto da subito.

Nel corso di questa legislatura ben due proposte di legge, di iniziativa delle opposizioni, che il regolamento impone di portare necessariamente in aula, anziché essere emendate, o, eventualmente bocciate dalla maggioranza, sono state trasformate in deleghe al governo. Peraltro una di queste era su questioni elettorali, materia che, evidentemente, non dovrebbe essere oggetto di delega.

Diciamo che l’opposizione, spesso, si presta a subire le angherie della maggioranza: accettando accordi che riducono i tempi di discussione, in occasione dell’apposizione della fiducia, o anche non assumendo, compatte, le opportune iniziative per impedire le azioni di pirateria della maggioranza. Nel caso delle due proposte di legge delle opposizioni, una sul voto dei fuorisede, l’altra, più nota, sul salario minimo, di fronte al rifiuto del governo di discutere nel merito nelle commissioni competenti, si poteva, forse doveva, ritirare il provvedimento. Per quanto riguarda la legge di bilancio, si potrebbe mettere in campo una opposizione più aggressiva, anche, e forse soprattutto, se questo dovesse portare per un paio di giorni, al “esercizio provvisorio del bilancio”.

Il problema di fondo, ci pare, sempre lo stesso, la pericolosa disabitudine ad affrontare il conflitto e a superarlo. In teoria le leggi vanno discusse nelle Commissioni parlamentari al fine di migliorarle, tenendo conto delle differenti idee, concezioni, valori. Solo attraverso il confronto parlamentare, che dovrebbe superare la concezione identitaria, anche di maggioranza e opposizione, laddove i parlamentari esplicano la loro funzione “senza vincoli di mandato”, si possono approvare leggi che siano effettivamente utili o necessarie al paese e non manifesti ideologici, spesso privi di qualsiasi effettiva capacità di incidere nelle cose.

Tornando sul salario minimo: il dibattito in Commissione poteva portare ad una decisione, a maggioranza, di contrarietà dell’idea di stabilire un tetto minimo, oppure, attraverso il confronto tra commissari, si poteva arrivare ad un testo che potesse stabilire una posizione equa tra i diversi interessi o le diverse posizioni dei componenti della Commissione, prima e dell’aula poi. Trasformare quella proposta di legge in una delega al governo è stato solo un atto di autolesionismo del Parlamento, riconoscendo la sua incapacità di svolgere la sua funzione di legislatore. Questo è molto più pericoloso di qualsiasi pessima riforma istituzionale, perché, appunto, ne giustifica a priori la sua opportunità. Altro che bivacco per i manipoli!

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