Premessa: credo di essere ateo ma coltivo da anni una passione per il presepe. Ne colleziono tanti. Alcuni restano in bella mostra tutto l’anno nel mio studio, altri li “tiro fuori dal cassetto” in questo tempo. Qualcuno si chiederà: perché?
Perché il presepe è una forma d’arte che ha attraversato i secoli ed è stato rappresentato da Giotto a Gaudì fino ad Haring.
Il disegno di legge presentato al Senato dal partito di Giorgia Meloni, per sanzionare i presidi che acconsentono alla rimozione del presepe, è folle così come trovo assurdi quei dirigenti scolastici che vietano il presepe in nome dell’inclusione di chi appartiene ad altre religioni o non crede.

Come spesso accade la politica banalizza e strumentalizza le questioni a proprio uso e consumo. La questione, semmai, è un’altra: cos’è il presepe? Che senso ha farlo in una scuola?

Prima risposta: il presepe è un’espressione culturale e artistica, nato esattamente 800 anni fa a Greccio, grazie a San Francesco che lo fece realizzare per rappresentare dal vivo quanto era avvenuto a Betlemme. Da allora in molte località europee, nel 1300, con cerimonie pubbliche si ricordava la nascita di Gesù. Sappiamo, ad esempio, che il 6 gennaio a Friburgo, in Germania, c’erano manifestazioni per celebrare i Re Magi.

A diffondere il presepe ci pensarono poi gli artisti. Giotto fu il primo pittore a raffigurarlo ad Assisi, ma anche nella famosa cappella degli Scrovegni a Padova. Dopo il medioevo, il presepe è diventato parte dell’arte popolare. Nel 1700 a Napoli iniziò la tradizione dell’arte del presepe tanto da renderla famosa in tutto il mondo. Ancora oggi c’è una strada (via San Gregorio Armeno) interamente dedicata agli artigiani del presepe. In quegli anni nacquero addirittura delle scuole dove insegnavano a usare il legno, la cartapesta o l’argilla per realizzare le “statuine”.

Il presepe è quindi una forma d’arte tant’è che sono numerosi i pittori (Giotto, Tiziano, Martino Piazza, Lorenzo Monaco, Sandro Botticelli, Bosch ma l’elenco è lunghissimo) che hanno dipinto la nascita di Gesù e rappresentato presepi.
Vietare di fare il presepe a scuola o avere un’attenzione per le altre culture o per chi come me crede di essere ateo al punto da non realizzarlo, è come portare i bambini a fare un viaggio d’istruzione a Roma e non andare al Vaticano o non portarli a vedere il Cenacolo Vinciano.

Semmai è sterile, non pensare ad un processo pedagogico e didattico dietro il presepe. Che senso ha allestire un presepe nell’atrio della scuola o in classe senza spiegare nulla?

E’ molto interessante, ad esempio, far riflettere gli studenti sul Natale attraverso le opere d’arte, scoprendo come nella “Natività” della Pala d’altare di Altenberg a Francoforte vi sia raffigurato Giuseppe – come accade nelle icone ortodosse (e qui si sta facendo intercultura) – che sembra guardare altrove perché non capisce fino in fondo il mistero di questa nascita. Ad aiutare gli insegnanti potrebbe essere il bel libro Natale in dieci quadri di Giorgia Montanari di Edb Gulliver oppure il recente Il presepe di San Francesco della storica Chiara Frugoni (Mulino editore). Parlare del presepe in questo senso non turba nessuno ma può solo arricchire la cultura anche chi è di fede diversa esattamente come chi scrive si arricchisce nell’andare a visitare tempi induisti, buddisti e moschee.

Da notare che nel mio studio c’è anche il Corano accanto alla Bibbia e non manca Ganesh. La questione presepe è esattamente come quella del crocefisso: che senso ha avere un crocefisso in classe se è solo una suppellettile? Bisogna dare senso a ciò che si fa a scuola. Con buona pace proprio dei leghisti, in questi giorni ai miei alunni ho parlato di Natale, ad esempio, leggendo loro un libro che si intitola Gesù bambino venuto dal mare: la storia di un bambino africano nato su un’isola siciliana dopo uno sbarco.

Diversa è la questione delle messe di Natale o di Vescovi e preti che vengono a benedire le classi. Su questo punto Il Consiglio di Stato – Sezione VI – con la sentenza 27 marzo 2017 numero 1388 è stato chiaro: “A partecipazione ad una qualsiasi manifestazione o rito religiosi (sia nella scuola che in altre sedi) non può che essere facoltativa e libera, non potendo non godere, solo perché tale, di minori spazi di libertà e di minore rispetto di quelli che sono riconosciuti a manifestazioni di altro genere, nonché tollerante nei confronti di chi esprime sentimenti e fedi diverse, ovvero di chi non esprime o manifesta alcuna fede”. Un preside, un docente non può organizzare una messa di Natale durante l’attività didattica.

E’ d’altro canto folle pensare che un Parlamento possa legiferare non tanto l’obbligo di fare il presepe (da una prima lettura della proposta di Legge della senatrice Lavinia Mennuni non si evince questo) ma la possibilità di sanzionare chi impedisce iniziative promosse da genitori, studenti o dai componenti di organi scolastici, volte a perpetuare le tradizionali celebrazioni legate al Natale e alla Pasqua cristiana, come l’allestimento del presepe, recite e altre simili manifestazioni. Il testo legislativo sembra essere scritto da chi non conosce il mondo della scuola e non sa che esiste la libertà d’insegnamento sancita dal Ccnl per la quale nessun dirigente può impedire un presepe in classe ed esistono gli organi collegiali che “legiferano” senza bisogno di sanzioni dettate dall’alto, sulle iniziative didattiche di una scuola.

Io maestro posso invitare in classe (non certo a fare un rito) l’imam, il prete o il rabbino. L’iniziativa della Mennuni è solo propaganda natalizia che a poco serve. Semmai, si faccia una riflessione seria sugli obbrobriosi lavoretti di Natale: quelli sì che andrebbero vietati! Dai tempi di mia nonna non c’è bambino che non torni a casa con una candela colorata; una pigna brillantata; un alberello di natale ritagliato ad origami; un barattolo di vetro con dentro il presepe e le stelline che vanno su e giù.

I “lavoretti” di Natale – così come quelli per altri tempi dell’anno scolastico – sono il simbolo più plastico di una scuola “vecchia”, “ammuffita”, “desueta”, “priva di senso didattico”. Parliamo di scuola, non facciamo propaganda, please!

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