Dopo tanti tentativi tanti fallimenti: sembrerebbe impossibile che qualcosa possa cambiare nel rituale ormai stanco, anzi, stanchissimo, delle COP – le “conference of the parties” che dovrebbero trovare soluzioni alla crisi climatica. Ci si poteva aspettare che la COP28 non sarebbe stata un’eccezione, eppure quest’anno forse qualcosa è cambiato. Lo possiamo capire dalle dichiarazioni del sultano Al Jaber, presidente della COP28, che ha detto che, a suo parere, “non esiste evidenza scientifica che sia necessario eliminare i combustibili fossili per rimanere entro 1,5°C di aumento della temperatura”.

Per questa sua esternazione, il sultano è stato trattato male da tutte le organizzazioni ambientaliste occidentali, e per delle buone ragioni. Ma il punto è che se lo ha detto vuol dire che c’è una linea di pensiero in crescita nel mondo che vede come una cosa fattibile la sostituzione dei fossili con l’energia rinnovabile in tempi abbastanza brevi. Alla COP28 è spuntato fuori anche un gruppetto che ripropone l’energia nucleare. Arrivano in ritardo e con una tecnologia obsoleta, ma il concetto è sempre quello. In altre parole, stiamo cominciando a renderci conto del fallimento dell’approccio basato sulle misure graduali come risparmio energetico e riduzione dei consumi. Con le temperature globali che battono un record dopo l’altro, bisogna decidersi a fare qualcosa di più efficace.

Ovviamente, la proposta di eliminare i fossili ha atterrito i lobbisti delle industrie petrolifere (e anche il sultano) che a Dubai si stanno opponendo con tutte le loro forze all’idea che si possa arrivare a una dichiarazione ufficiale che bisogna fare a meno del sacro petrolio. Era ovvio. Ma è interessante notare che la proposta ha anche generato una reazione negativa da parte dei delegati dei paesi poveri. In sostanza, hanno detto, “non ci fregate”. Hanno parlato di “colonialismo verde”, di voler rendere i paesi poveri schiavi di nuovo delle tecnologie dei paesi ricchi, di volerli affamare e cosette del genere. Ovviamente questo non sta scritto nei documenti ufficiali, ma potete leggere un resoconto di quello che si dice a Dubai in un post del mio amico e collega Nafeez Ahmed.

Il bello è che questa reazione negativa arriva anche da paesi che non producono petrolio, come il Bangladesh (come nota Ahmed), che avrebbero tutto da guadagnare nell’affrancarsi dalle importazioni di energia fossile. Però, è anche vero che i paesi poveri non hanno tutti i torti a non fidarsi degli occidentali dopo qualche secolo di brutte esperienze. Ma, più che altro, è il risultato di un profondo errore strategico. L’idea delle COP, come di altre iniziative per il clima e dell’ambiente, è di imporre la transizione con provvedimenti che arrivano dall’alto. Ma se le nuove tecnologie sono veramente migliori delle vecchie, non dovrebbero essere in grado di imporsi da sé? Si può anche capire che uno possa sospettare che ci sia un imbroglio da qualche parte.

E quindi, stiamo sbagliando tutto. L’attivismo climatico che si manifesta nelle varie COP e in altre sedi genera il risultato opposto a quello desiderato: una reazione negativa di sospetto e diffidenza. Anche se non siete stati a Dubai a parlare con i delegati, ve ne potete rendere conto facilmente leggendo i commenti tipici ai post sul blog del Fatto Quotidiano che propongono l’energia rinnovabile. Si tratta invece di eliminare gli ostacoli burocratici che bloccano la transizione energetica in paesi come l’Italia che avrebbero un bisogno disperato di ridurre i costi delle importazioni petrolifere. Senza la burocrazia che la strangola, l’energia rinnovabile si impone semplicemente perché costa meno delle alternative.

Per fortuna, la transizione verso le rinnovabili è partita alla grande e ormai nessuno la ferma più. Fra le tante cose, i paesi fuori dell’Occidente (che poi è quasi tutto il mondo) stanno facendo la loro parte senza tanti discorsi inutili. Mentre la Cina continua ad espandere la produzione di pannelli fotovoltaici, uno dei settori in crescita più rapida nel mondo è quello dell’elettrificazione del trasporto su due e tre ruote: biciclette elettriche, motorini e tuk-tuk. Questo settore sta oggi evitando il consumo di oltre un milione di barili di petrolio al giorno. Non è tantissimo, circa l’1% della produzione totale, ma continua a crescere. Le vere rivoluzioni cominciano dal basso!

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