Mentre Dubai era ingoiata da smog e foschia, come segnalato dall’associazione umanitaria Human Rights Watch, nelle prime ore del sesto giorno di Cop 28, è stata pubblicata la bozza del testo negoziale sul bilancio globale, il Global Stocktake. Si tratta del primo bilancio periodico dall’Accordo di Parigi per fare il punto sulle azioni finora intraprese nella lotta ai cambiamenti climatici e da cui ripartire verso nuovi impegni e target. Quella pubblicata è una bozza non a caso vaga e con diversi punti mancanti ma, proprio per questo, offre una fotografia della situazione attuale: dalle rinnovabili ai combustibili, il testo – pubblicato nel giorno che la Cop dedica a energia e industria – lascia aperte tutte le opzioni. Il tema dei combustibili fossili è il terreno di scontro, le rinnovabili sono la merce di scambio, mentre le tecniche di cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica sono l’infiltrato. Sullo sfondo la Cop che ospita almeno 2.456 persone legate all’industria del petrolio e del gas, secondo l’analisi della coalizione Kick Big Polluters Out, con i lobbisti che superano in numero tutte le delegazioni nazionali, ad eccezione di quella del Brasile, che conta oltre 3mila persone e degli stessi Emirati Arabi (oltre 4mila partecipanti).

Lo scontro sui combustibili fossili – Tutto confluisce nei negoziati e, quindi, nella bozza. Al punto 34 si ribadisce l’invito ai Paesi di “accelerare gli sforzi verso la riduzione (non eliminazione) dell’energia prodotta dal carbone e l’eliminazione graduale dei sussidi, ma solo quelli inefficienti, ai combustibili fossili. Il punto 35, però, è quello che guarda (o dovrebbe guardare) più in avanti. Al momento si lavora a due dichiarazioni diverse che riguardano i combustibili nel loro complesso e il carbone. Per quanto riguarda i combustibili, sono tre le opzioni sul tavolo. La prima è quella di un’eliminazione (non riduzione) graduale, ordinata e giusta. Questo significa un phase-out che tenga conto delle particolari ricadute sociali e che riguardi prima i Paesi industrializzati e ricchi, quelli che storicamente hanno più responsabilità nelle emissioni di gas serra. La seconda opzione sul tavolo in vista di una dichiarazione finale prevede sempre un “phase out”, ma con diversi limiti. Si parla, infatti, di “accelerare gli sforzi verso l’eliminazione graduale dei combustibili (ma solo quelli senza cattura di Co2), riducendo rapidamente il loro utilizzo (non produzione) in modo da raggiungere l’azzeramento netto delle emissioni di anidride carbonica nei sistemi energetici entro o intorno alla metà del secolo, spostando così nel tempo l’obiettivo. La terza opzione non è stata ancora scritta. Tradotto: rappresenta la possibilità di non inserire affatto i combustibili fossili in una dichiarazione finale.

La posizione dei Paesi – Sono 106 i Paesi che vogliono un impegno per l’eliminazione dei combustibili fossili. La posizione – ambigua – degli Emirati Arabi è quella del presidente della Cop 28, sultan al-Jaber che, dopo aver sostenuto che nessuna scienza impone di eliminare petrolio e gas, ha detto che la loro “eliminazione graduale” è “fondamentale. Deve – ha aggiunto – essere ordinata, giusta e responsabile”. Meno ambigua la posizione dell’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio al mondo, che non intende accettare nemmeno di ridurre gradualmente i combustibili fossili. Il ministro dell’Energia, Abdulaziz bin Salman ha già affermato che “non accetterà assolutamente” l’eliminazione graduale nell’accordo finale della Cop 28. “E vi assicuro che nessuno, sto parlando dei governi, ci crede” ha aggiunto. Ma sono molti i paesi in via di sviluppo che vogliono di più, sottolineando il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, riferisce Ecco, il think tank italiano per il clima.

Passi avanti sul carbone, ma c’è chi frena – Due le opzioni nella bozza, per quel che riguarda il carbone. La prima: una rapida eliminazione, anche se graduale, dell’energia a carbone entro questo decennio con lo stop immediato delle autorizzazioni per nuova generazione di energia da carbone (ma non degli impianti le cui emissioni possono essere abbattute con le costose tecniche di cattura e stoccaggio). La seconda opzione non è stata ancora scritta ed è quella a cui stanno lavorando i Paesi che remano contro i passi troppi rapidi all’uscita dal carbone. La Cop 28, d’altronde, è anche quella in cui gli Stati Uniti hanno aderito alla Powering Past Coal Alliance, impegnandosi ad eliminare gradualmente le centrali elettriche a carbone (che rappresenta circa il 40% delle emissioni di combustibili fossili). Ma, bene intenso, come da copione significa nessuna centrale nuova, a meno che non si possa contare su cattura e stoccaggio ed eliminare gradualmente quelle esistenti (da precedenti impegni assunti si presume nel 2035). Dell’Alleanza fanno parte altri 56 Paesi, oltre a città, regioni e organizzazioni in tutto il mondo. Non ci sono, però, Russia, Cina, India, Giappone e Australia.

Una bomba ecologica – Secondo una nuova analisi pubblicata oggi dal think tank Climate Analytics, però, le tecniche di cattura e stoccaggio di carbonio potrebbero “rilasciare una bomba da 86 miliardi di tonnellate in più di gas serra nell’atmosfera tra il 2020 e il 2050”. Il rapporto calcola, infatti, le emissioni aggiuntive che potrebbero derivare dall’uso continuato di combustibili fossili giustificato dalla scelta della Ccs. Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) raccomanda tassi di cattura del carbonio di circa il 95%. Se invece si arriva solo al 50% e le emissioni di metano venissero a monte ridotte a livelli bassi, secondo le stime, si immetterebbero nell’atmosfera più del doppio delle emissioni globali di Co2 nel 2023. Di fatto, l’Agenzia internazionale dell’energia ha costantemente rivisto al ribasso la stima del ruolo della Ccs nella transizione energetica, ipotizzando il 38% in meno nelle sue proiezioni per il 2023 rispetto a quelle del 2021.

Le rinnovabili come merce di scambio – Nella bozza, anche le rinnovabili. Su cui sembrava si fosse chiuso l’accordo. D’altro canto, 120 sostengono la triplicazione delle energie rinnovabili. Nella bozza, però, ci sarebbero due opzioni. La prima è quella già nota di triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale entro il 2030, rispetto a quella del 2022. Dunque arrivare a 11mila gigawatt (oggi è a quota 3.400 GW), soprattutto grazie a eolico e fotovoltaico, raddoppiando il tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica al 4,1% rispetto al livello del 2022. La seconda opzione non è ancora scritta e rappresenta la posizione dei Paesi che non danno ancora il loro appoggio all’obiettivo sulle rinnovabili, perché sono poco convinti degli obiettivi che si vogliono mettere nero su bianco sui combustibili fossili, carbone compreso. È il caso della Cina che non appoggia (per ora) la prima opzione, non certamente perché non è in condizioni di correre su questo fronte.

Il ministro Pichetto Fratin su rinnovabili (e nucleare) – Riguardo alle rinnovabili, in queste ore il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha ribadito la posizione dell’Italia. “Abbiamo aderito alla dichiarazione proposta dalla presidenza Cop con l’impegno a triplicare entro il 2030 la produzione di energia da rinnovabili. Un impegno – ha dichiarato Pichetto Fratin – che è già contenuto nel nostro Pniec, dove si prevede che il solare crescerà dai 21.650 megawatt del 2020 a 79.921 nel 2030, con un incremento del 369,15%, mentre l’eolico crescerà da 10.907 megawatt a 28.140 nel 2030, con un incremento del 258%”. Totale dell’incremento complessivo: da 32,5 a 108 megawatt, di oltre il 300%, sempre a patto che si riescano a superare gli ostacoli che da anni bloccano le energie pulite nella Penisola, tempi per le autorizzazioni in primis. Le parole del ministro arrivano durante la sua partecipazione, a Roma, alla Giornata dell’Associazione Italiana Nucleare. Su cui pure è intervenuto, in particolare in merito alla proposta, avanzata alla Cop 28 da parte di una ventina di paesi (tra cui Stati Uniti e Francia), di triplicare le capacità energetiche degli impianti nucleari nel mondo entro il 2050. “C’è stato chi ha criticato l’assenza dell’Italia fra i sottoscrittori della proposta” ha detto, rispondendo a quella che definisce una “critica paradossale”. “Noi siamo politicamente pienamente convinti – ha aggiunto – della validità di questa proposta politica. Ma non avendo nessun impianto nucleare attivo, né in costruzione non possiamo ad oggi triplicare ciò che non abbiamo”.

Twitter: @luisianagaita

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