La stagione di Formula 1 è stata contrassegnata in pista dal dominio Verstappen-Red Bull tanto schiacciante quanto alla lunga soporifero? Nessun problema, perché nel Circus i colpi di scena continuano a non mancare. Basta uscire dall’area prettamente tecnica e sportiva delle monoposto per infilarsi in quella politica, dove la guerra di potere (e dei soldi) tra FIA e Formula One Group regala sorprese e polemiche in continuazione. Una guerra sotterranea nascosta dietro i sorrisi di facciata e le false cordialità tra Mohammed Ben Sulayem e Stefano Domenicali, per i quali ogni occasione diventa valida per combattere una battaglia per interposta persona. Gli ultimi a finirci in mezzo sono stati i coniugi Toto e Susie (Stoddart) Wolff, rispettivamente Team Principal della Mercedes e CEO della Formula One Academy, accusati di potenziale conflitto di interessi.

In realtà parlare di accusa è una parola grossa, ma solo l’aver fatto trapelare la notizia parlando di un’indagine che in realtà a oggi non può ancora essere definita tale, in quanto ancora in fase di valutazione, è apparsa come una mossa deliberata da parte della FIA per segnare un punto contro la nemica Liberty Media, dalla fine del 2016 proprietaria di Formula One Group. Tutto infatti nasce da una segnalazione, riportata dalla testata BusinessF1 Magazine, sulla presunta conoscenza da parte di Toto Wolff di informazioni di natura riservata dalla FOM (Formula One Management), alla quale risponde direttamente Susie Wolff, in quanto la “sua” F1 Academy è un campionato fuori dall’orbita FIA e si interfaccia direttamente solo con Liberty Media. Nessuno è a conoscenza di quali sia la tipologia di informazioni riservate di cui sarebbe entrato in possesso Toto Wolff durante il presunto pillow talk con la consorte. Informazioni tecniche? Dettagli su qualche sforamento del budget cap? Buio totale.

In realtà anche il termine indagine appare un po’ forzato. Quando alla FIA viene segnalato un caso potenzialmente sospetto, la procedura prevede tre fasi: una valutazione preliminare, l’indagine vera e propria e la conclusione. Viste le tempistiche ristrette, è facile ipotizzare che attualmente la FIA si trovi ancora nella fase di valutazione iniziale, durante la quale di norma si procede con la comunicazione dell’avvio del procedimento solo alle parti interessate. Ma da un granello di sabbia si può arrivare a scatenare una tempesta, gettando mezze notizie in pasto ai media. Da tempo sono noti i mal di pancia di Ben Sulayem nei confronti di Liberty Media, soprattutto di una spartizione della torta pesantemente squilibrata a sfavore della FIA. Qualche numero può essere utile: il 30 dicembre 2022 Liberty Media ha chiuso con un fatturato di due miliardi e 573 milioni di dollari, con un utile netto di 558 milioni. Nel 2023 i premi incassati dalle scuderie ammontano a un miliardo e 157 milioni, con un incremento del 15.2% rispetto all’annata precedente. Di questa cifra, alla FIA arrivano, sotto forma di tassa di iscrizione al Mondiale, meno di 27 milioni, di cui 21.6 per l’iscrizione dei team e 5 per quella dei piloti.

Numeri che sono alla base della lotta tra i due stakeholders del Circus, con i team arroccati in difesa di Liberty Media, come dimostrato dai comunicati stampa pressoché congiunti di tutte e nove le scuderie, che hanno dichiarato la propria estraneità alla vicenda – la segnalazione delle informazioni riservate sembra invece fosse arrivata dalla denuncia di un team – e la contestuale solidarietà a Wolff e alla Stoddart. Non è una storia di buoni contro cattivi: tutte le parti sono mosse dai proprio interessi, e chi ci rimette alla fine sono i piloti e l’esibizione sportiva, sacrificati a una visione puramente commerciale e spettacolare della disciplina. Lo scopo di Liberty Media è fare più soldi possibili, non importa se deve essere imposto un format sciagurato come quello delle gare sprint; se i piloti rischiano un malore per la temperatura estrema (Qatar); se le scuderie sono costrette a correre all’oscuro di ogni consapevolezza tecnica (Austin) perché – Domenicali dixit – “le prove libere servono solo agli ingegneri”; se in una messa scena sfarzosa e teatrale poi salta un tombino sull’asfalto (Las Vegas). La FIA, da parte sua, avendo subito ormai nei lontani anni Novanta l’imposizione della Corte Europea di dover separare il suo ruolo normativo da quello commerciale, non perde occasione per ribadire il proprio ruolo di padrona di casa della F1. Basti pensare all’uscita di Ben Sulayem sui 20 miliardi di dollari pronti dall’Arabia Saudita per rilevare la F1. Oppure il caso Andretti, altro esempio di battaglia combattuta per interposta persona.

In poche parole, Liberty Media e le scuderie non vogliono l’ingresso di un undicesimo costruttore nel Mondiale, nonostante il team Andretti soddisfi tutti i requisiti tecnico-sportivi previsti dalla FIA, la quale infatti ha già dato il suo via libera all’ingresso nel campionato dal 2025. La ragione è puramente economica, ma si tratta di autentica avidità più che di oculata gestione delle proprie finanze, perché il costante incremento dei premi elargiti alle scuderie – frutto dell’aumento dei Gran Premi disputati e delle Sprint Race – di fatto annullerebbe il problema del dover dividere il bottino finale per undici anziché per dieci. Particolarmente cabarettistica è stata un’uscita di Domenicali che ha parlato di mancanza di spazio sufficiente nei paddock per una nuova scuderia, quando in passato queste erano presenti anche in numero maggiore, mentre quest’anno non si è esitato nell’allestire un apposito box a Silverstone per la APEX GP, il team fittizio del film sulla F1 attualmente in lavorazione con Brad Pitt protagonista. La strategia è quindi quella di fare muro e procastinare, in attesa della stipula del nuovo Patto della Concordia, in scadenza nell’agosto 2024, che prevedrà limiti ancora più stringenti per l’iscrizione di nuovi team. Con le scuderie legate a filo doppio alla politica business-oriented di Liberty Media, i piloti di fatto esclusi da ogni processo decisionale, una FIA alla ricerca di ogni pretesto possibile per minare la credibilità del proprio interlocutore (oggi c’è il caso Wolff, domani a chi toccherà?), la Formula 1 appare vicina al punto di rottura come mai capitato prima, tanto che la BBC ha ipotizzato una possibile, clamorosa scissione in due campionati. Formula Noia? Forse si, ma di certo solo in pista.

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