Soprattutto nel XIX secolo i canali navigabili già cari a Leonardo esercitarono un’attrazione fatale sugli ingegneri idraulici. Conquistarono praticoni e teorici, dal greco-bergamasco Pietro Paleocapa — presidente della Commissione tecnica del Canale di Suez— al fossanese naturalizzato francese Jules Dupuit —padre della economia liberista in tema di canalizzazioni e movimento terra, nonché cultore dell’idrostatica e dell’idrogeologia. Assieme alle ferrovie, i canali navigabili furono un simbolo del progresso. Molti furono i progetti eseguiti, moltissimi rimasero nel cassetto. Una utopia alla quale avevo aderito, prima di perdere tempo inutilmente sui Navigli milanesi, era l’antico progetto del canale Trieste-Danubio, riesumato da alcuni volonterosi una ventina di anni fa.

Mentre a Gaza infuria la guerra, un progetto novecentesco del tutto dimenticato è riemerso dalle tenebre della riservatezza strategica. L’idea nacque più di 60 anni fa, dopo la crisi di Suez del 1956 che mise i brividi all’Europa, dando via libera al panarabismo del presidente egiziano Nasser. Perché non raddoppiare Suez, costruendo una seconda via d’acqua tra Mar Rosso e Mediterraneo su un terreno amico dell’Occidente?

Il progetto del Canale Ben Gurion, che prese il nome del fondatore di Israele, avrebbe collegato Eilat sul golfo di Aqaba con il Mediterraneo a nord di Gaza. Dal golfo il tracciato percorreva il confine tra Israele e Giordania attraversando la valle del Wadi ‘Araba per circa 100 chilometri tra i monti desertici del Negev e gli altopiani giordani. Virava poi a occidente prima del bacino del Mar Morto, che si trova a una quota di 430 metri sotto il livello del mare. Percorrendo una valle nella catena montuosa del Negev, sarebbe poi proseguito verso settentrione per aggirare la Striscia di Gaza e collegarsi con il Mediterraneo (Figura 1).

Se consideriamo che nel canale di Suez transita il dodici percento del commercio mondiale — una gallina dalle uova d’oro che garantisce all’Egitto un obolo di quasi dieci miliardi di dollari all’anno — il Canale Ben Gurion sarebbe stato in grado di produrre una piccola rivoluzione economica, con un impatto a scala planetaria. Il monopolio egiziano sarebbe svanito. La ridondanza delle vie d’acqua avrebbe posto fine alla congestione del canale di Suez. Si sarebbe ridotta la fragilità del collegamento tra i due mari, non trascurabile se pensiamo all’impatto economico della mastodontica Ever Given da 224mila tonnellate arenatasi nel canale di Suez due anni fa. La nuova via avrebbe creato un nuovo tracciato capace di fare concorrenza alla via della seta cinese, assai favorevole ai commerci indiani e indocinesi. Senza dimenticare che strategia militare e politica vanno a braccetto.

Non era un progetto campato per aria. Secondo un memorandum riservato del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, datato 1963 e declassificato nel 1996, il piano costruttivo si sarebbe avvalso di 520 bombe nucleari per scavare la via d’acqua (Figura 2). Il memorandum prospettava “l’uso di esplosivi nucleari per lo scavo del canale del Mar Morto attraverso il deserto del Negev” con un percorso di 256 chilometri che non avrebbe richiesto la costruzione di chiuse (Figura 3). Secondo l’estensore dello studio, i metodi convenzionali di scavo sarebbero stati “proibitivamente costosi”. Egli suggeriva quindi l’impiego degli “esplosivi nucleari (che) potrebbero essere applicati con profitto” tranne che in prossimità del Mediterraneo, dove bisognava adottare metodi tradizionali per via della “popolosa Beersheba e dell’adiacente Gaza”. Né il fantasioso ingegnere H.D. MacCabee dimenticava di sposare l’utile strategico con il dilettevole ecologico: “la differenza di quota tra il livello del mare e il Mar Morto (distante 30 miglia e 1286 piedi sotto il livello del mare) potrebbe anche essere utilizzato per generare energia idroelettrica”.

In occasione dell’attuale crisi, il progetto è stato riesumato da molti media arabi. Nel novembre scorso, un autorevole opinionista che scrive su The Jordan Times si è rivolto così al premier israeliano: “Le vostre mire economiche sono altrettanto chiare: la costruzione del Ben Gurion Canal per collegare il porto di Ashdod a Eilat, pronto a sostituire il Canale di Suez, come spiegato oltre 50 anni fa dal compianto Thougan Al-Hindawi nel suo libro La causa palestinese”. E la questione del canale è stata ripresa da moltissimi media asiatici, suscitando un notevole interesse.

Del Ben Gurion Canal a miccia atomica non se ne fece mai nulla. Già nel corso della crisi del 1956, un memorandum del direttore della Cia Allen Dulles consigliava grande cautela: “È già evidente che il governo israeliano tenterà di sfruttare l’attuale situazione nel Mediterraneo orientale per raggiungere il maggior numero possibile di obiettivi. Sembra altrettanto chiaro che mescolare la questione palestinese con la questione del canale in questo momento non farebbe che complicare ulteriormente entrambe le questioni”. E cautela fu. Dopo quasi 70 anni e con le dovute, enormi differenze di prospettiva, certe cautele valgono ancora.

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