Da quando, martedì 23 marzo, la Ever Given si era arenata nel Canale di Suez, bloccando il traffico marittimo lungo una essenziale arteria globale, il mondo ha guardato con curiosità alla liberazione di questo colosso da 224mila tonnellate. Una delle tante Ultra Large Container Vessel (ULCV) che garantiscono all’Europa merci e materie prime dai paesi orientali. E consentono all’Europa di esportare i propri prodotti nei mercati asiatici.

Gli sforzi per liberare la nave – lunga 400 metri, larga 59 e alta 73 a pieno carico, quando pesca circa 16 metri – sono stati imponenti: l’ingorgo gigantesco ha aumentato i costi diretti e indiretti, i prezzi sono lievitati scaricando l’onere della crisi sull’anello debole della catena, i consumatori. E le alternative non erano immediate, anche se ci sono.

La circumnavigazione dell’Africa è un’alternativa storica, già praticata durante la chiusura di otto anni (1967-1975) in seguito alla guerra dei sei giorni. Solo se i costi del carburante sono minimi, può essere una opzione conveniente; praticata, per esempio, da alcuni ULCV l’anno scorso. All’origine, il canale era profondo 8 metri, via via progressivamente aumentati fino al 2010, quando il pescaggio è stato portato a circa 20 metri, proprio per consentire il transito a imbarcazioni di questa stazza.

Il cambiamento del clima offre una rotta alternativa assai più interessante, soprattutto per il Nord Europa. Attraversando il mare Artico, le merci possono viaggiare tra Cina e Nord Europa in una ventina di giorni, un terzo in meno di quelli richiesti dalla rotta classica. Nel 2019, solo 300 navi hanno percorso l’Artico contro le 19mila del canale di Suez, ma nel medio periodo questa rotta potrebbe rimanere aperta tutto l’anno, forse entro il 2040. Una rivoluzione epocale del commercio, non troppo diversa da quelle storiche, dalla scoperta del Nuovo Mondo all’apertura dei canali di Suez e di Panama. Molto pericolosa non soltanto per le economie e le società mediterranee, ma anche per l’equilibrio ambientale dell’Artico stesso.

Il canale di Suez, a differenza di quello di Panama, non è regolato da chiuse. Una circostanza più che favorevole, in generale, per chi lo costruì. La bacinizzazione avrebbe però reso la liberazione della Ever Given meno complicata. Questa vantaggiosa soluzione fu resa possibile dalla minima differenza di quota tra i livelli del Mediterraneo e del Mar Rosso, a scorno dei tecnici napoleonici al seguito dell’imperatore nella campagna d’Egitto, che valutarono il mar Rosso circa dieci metri più alto del Mediterraneo.

Fin dalla sua apertura nel 1869, il canale ha una valenza strategica fondamentale, come dimostra il monumento alla difesa del canale, eretto dopo la prima guerra mondiale su un’altura nei pressi di Ismailia. È una sorta di doppio obelisco in granito sardo di Cala Francese, La Maddalena, progettato dall’architetto francese Michel Roux Spitzi in modo da essere ben visibile dalle navi in transito. E che la Ever Given avrebbe potuto traguardare a nord in attesa del disincaglio.

Sono stati tentati diversi interventi di dragaggio, si è valutato l’alleggerimento del carico, si è rimasti in attesa di una buona trovata per risolvere un problema in apparenza banale come redistribuire 224mila metri cubi d’acqua. E alla fine tutto si è risolto.

L’umanità conosce il galleggiamento dei corpi da millenni, ma soltanto Archimede, scienziato greco di Siracusa, pose le basi della visione sistematica del sapere con i due libri della sua opera fondamentale in materia idraulica: Sui corpi galleggianti, redatto attorno al 250 a.C. Dobbiamo a Vitruvio (80-15 a.C. circa) il racconto più spassoso della scoperta di Archimede, il principio che ogni scolaro elementare conosce bene: ogni corpo immerso parzialmente o completamente nell’acqua riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del fluido spostato. In pratica, Vitruvio (De Architectura, IX, cap. III) narra di una truffa ai danni di Gerone, tiranno di Siracusa e abile mecenate, che lo scienziato seppe sventare grazie alla scintilla accesa da un’abluzione in vasca da bagno: “E nudo correndo verso casa, andava ad alta voce dicendo d’aver trovato quel che cercava, mentre correndo ogni poco gridava in greco: Eureka, Eureka! Così trovò quanta era la quantità dell’acqua corrispondente al dato peso d’argento”.

In attesa di conoscere il peso – in argento, oro, future o bitcoin – che i consumatori dovranno sostenere per l’ingorgo, ben più delle 224mila tonnellate dell’Ever Given spiaggiata, stiamo sperimentando la fragilità del sistema economico e sociale. La resilienza dall’impero romano d’Occidente fu garantita da un sistema di trasporti marittimi molto efficiente, che permise di superare svariate crisi alimentari locali, legate alle siccità prolungate che potevano colpire le diverse regioni dell’impero. La crisi di quel sistema mise in ginocchio l’impero d’occidente. E la fragilità dei porti italiani, oggi del tutto impreparati e poco attrezzati a fronteggiare emergenze legate a incidenti simili o condizioni meteo, potenzialmente sempre più estreme.

Mentre i paesi diventano sempre più interdipendenti, aumenta la loro fragilità rispetto a eventi considerati imprevedibili. Chi poteva prevedere che una nave si sarebbe incagliata nel canale? L’eventualità di una pandemia era nota, ma chi poteva prevedere da dove sarebbe arrivata, con che forza, con che durata? Così come non possiamo prevedere dove, come e quando ci sarà il prossimo attacco informatico, la prossima crisi finanziaria, il prossimo incidente nucleare: ma sappiamo che arriverà.

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