È braccio di ferro sull’ex Ilva tra ArcelorMittal e il governo. Il socio privato si è presentato in assemblea con una memoria di 12 pagine da sottoporre a Invitalia, la società controllata dal ministero dell’Economia che detiene il 32% di Acciaierie d’Italia. Il documento è finito all’attenzione di Palazzo Chigi, dove la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i ministri interessati dal dossier (Raffaele Fitto, Adolfo Urso e Giancarlo Giorgetti) si sono subito riuniti. Perché l’assemblea è rimasta aperta e tornerà a riunirsi lunedì 11, momento in cui Invitalia dovrà fornire una risposta ai desiderata di Mittal.

Il punto resta sempre lo stesso: il socio privato non vuole partecipare alla ricapitalizzazione necessaria per mandare avanti il siderurgico di Taranto, ormai al lumicino sia finanziariamente che operativamente. Le casse di Acciaierie d’Italia sono esangui e questa settimana il management – espresso da Mittal – ha scelto di fermare l’altoforno 2 per “manutenzioni”, ma è forte il rischio che non riparta più. Così oggi l’ex Ilva ha una sola fornace in marcia, cosa mai accaduta nella storia.

In ballo ci sono 1,5 miliardi di euro di fabbisogno per acquistare gli asset dall’amministrazione straordinaria dell’ex Ilva (oggi Acciaierie d’Italia resta semplice gestore degli stabilimenti) e tornare così bancabile. Una parte di quei soldi (circa 320 milioni) sono necessari anche per le esigenze immediate della società, stritolata dai debiti anche con i fornitori di gas. Entro il prossimo 10 gennaio bisognerà trovare una soluzione: in quella data infatti scade l’obbligo imposto a Snam dal Tar di continuare ad alimentare il siderurgico di Taranto. Mittal non vuole versare la parte che gli spetterebbe detenendo il 68% di Acciaierie di Italia (circa 900 milioni di euro). Chiede in sostanza a Invitalia di prendersi la maggioranza, convertendo i 680 milioni di prestito obbligazionario versato negli scorsi mesi.

Allo stesso tempo, però, l’azienda controllata dal ministero dell’Economia teme il bluff. Anche perché è alto il rischio che, pur in maggioranza, Mittal continui a esprimere l’amministratore delegato, lasciando Lucia Morselli alla guida della società. È così che si arriva al muro contro muro: l’idea del governo è che il gruppo franco-indiano debba assumersi le sue responsabilità partecipando all’aumento di capitale per la quota che gli spetta in questo momento. Uno stallo alla messicana, con uno stabilimento ormai arrivato agli sgoccioli della sua storia. Palazzo Chigi ha fretta di venire fuori dal cul de sac e fonti di governo assicurano che l’esecutivo è pronto anche allo scenario “senza Mittal”, ma tocca al gruppo franco-indiano mettere nero su bianco la sua indisponibilità con conseguente uscita dalla società. A quel punto Invitalia potrebbe farmi momentaneamente carico dell’operatività, in attesa di un partner industriale, o potrebbe aprirsi lo scenario dell’amministrazione straordinaria, prevista in specifiche condizioni (assai vicine) dal decreto Ilva del gennaio scorso. Dall’altro lato, il socio privato non ha fretta: se l’impianto dovesse arrivare a consunzione, avrà comunque eliminato un concorrente dal mercato europeo dell’acciaio.

È lo scenario che prefigura la Fiom Cgil: “È chiaro ormai l’intento di Arcelor Mittal di minare l’ex Ilva non dando avvio alla ricapitalizzazione ed impedendo gli investimenti necessari per garantire il presente ed il futuro del gruppo siderurgico”, ha detto il segretario generale Michele De Palma parlando di un “rinvio inaccettabile”. Posizione simile a quella della Uilm: “L’abbiamo capito da tempo che l’obiettivo è fermare gli stabilimenti e richiedere il risarcimento danni, dopo che sono stati artefici di una gestione che ha provocato solo fermate di impianti, cassa integrazione per migliaia di lavoratori e bruciato oltre un miliardo di risorse pubbliche”, attacca il leader Rocco Palombella. Lo scenario trova concordi tutti i sindacati: “Ci sembra evidente – dicono i segretari dell’Usb Sasha Colautti e Francesco Rizzo – che il regalo vogliono farcelo sotto le feste, far pagare il conto a tutti nel momento peggiore, in cui gli stabilimenti sono vicini al collasso, ci sono migliaia di persone in cassa integrazione e dove l’appalto è gravemente in affanno col rischio che sotto le feste saltino pure gli stipendi. Dov’è il memorandum di Fitto?”. E questa è un’altra storia, una partita nella partita che si gioca tutta dentro il governo.

@cdifoggia e @andtundo

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