L’ex Ilva rischia di spegnersi per “consunzione”, stritolata da un accesso al credito che rende sempre più “incerto” il futuro dello stabilimento siderurgico di Taranto. Tant’è che per il secondo anno consecutivo Acciaierie d’Italia, la società partecipata da ArcelorMittal e il socio pubblico Invitalia, è dovuta ricorrere alla fornitura di gas di “default”. Il motivo? Per averla in autonomia serve una capara “di circa 100 milioni al fornitore”. Sarebbe routine. E invece: “Questo pagamento la società non è in grado di farlo”. La crisi dell’acciaieria si conclama nelle parole del presidente Franco Bernabè, volto di Invitalia nel management e già critico nelle scorse settimane, davanti alla commissione Attività Produttive. La situazione è così drammatica che il manager di Stato ha detto chiaramente di aver “messo il mio mandato a disposizione del governo in modo da lasciare la più totale libertà per intervenire nelle forme e nei modi riterrà più opportuni”. Insomma, le dimissioni sono lì sul tavolo.

Il tunnel infinito dell’ex Ilva sembra davvero a un passo dal trasformarsi in un vicolo cieco. L’audizione di Bernabè è stata a tratti drammatica. Venticinque minuti di relazione e altri quaranta minuti abbondanti di domande e risposte da parte dei parlamentari nel corso delle quali il presidente di Acciaierie d’Italia ha messo in chiaro la situazione nerissima della società. Sotto il profilo produttivo e finanziario, nonostante le corpose iniezioni di denaro pubblico che vanno avanti da anni. “C’è il rischio imminente di un’interruzione della fornitura di gas”, ha chiarito. Del resto lo scorso 30 settembre è scaduta la delibera dell’Arera che aveva già concesso la fornitura di default un anno fa, a causa della situazione già critica e dell’indebitamento della società nei confronti di Eni che si era liberata dal contratto. E debiti si erano poi accumulati anche con Snam. Qualcosa avverrà, ma resta il nodo: la situazione finanziaria è tale che trovare un fornitore in autonomia è sostanzialmente impossibile. Senza interventi, ha messo in chiaro Bernabè, “la situazione finanziaria dell’azienda rende estremamente difficile” una fornitura commerciale.

Il tutto nonostante le continue iniezione di denaro pubblico. “Il quadro di sostegno e attenzione socio-pubblico per rendere realizzabile il piano di decarbonizzazione ha trovato un ostacolo nella difficoltà di Acciaierie ad accedere a forme di finanziamento di mercato. Avendo l’accordo tra gli azionisti una durata limitata la società ha una scadenza e il sistema bancario non affida ad Acciaierie d’Italia. Parliamo di una società che ha oltre 3 miliardi di fatturato con un fabbisogno di circolante minimo pari a circa 2 miliardi”, ha spiegato il presidente. “Questa è una società – ha detto ancora – che lavora senza finanziamento bancario con la cassa che viene generata nel ciclo di produzione”.

“Se una società – ha proseguito – gestisce la produzione e il finanziamento del circolante con il giro di cassa autonomo, tale giro ogni volta perde un pezzo: la cassa va agli investimenti, ad altri fabbisogni, e non può essere utilizzata per comprare materie prime”. In altre (temibili) parole: “Ogni giro di produzione riduce la produzione. Senza accesso al credito bancario la società si spegne per consunzione”. Il manager – che da anni vive profondi contrasti con l’ad Lucia Morselli – ha quindi sottolineato che “il fattore tempo è il nemico più temibile”, in quanto “i ritardi accumulati rendono molto incerto il futuro del sito”. Da qui la richiesta: “Spetta agli azionisti, pubblico e privato, intervenire tempestivamente per garantire le risorse necessarie al rilancio”. Nel frattempo, le sue dimissioni sono sul tavolo.

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