Quattordici volte la crescita della Cina. È questa la previsione del Fondo monetario internazionale per il 2020 della Guyana, che il prossimo mese avvierà la produzione di petrolio dopo la scoperta da parte di ExxonMobil di vasti giacimenti, che ne fanno oggi il Paese con le maggiori riserve pro capite di oro nero al mondo. Una crescita record stimata all’85,6%, con l’obiettivo di raccogliere 5 miliardi di dollari entro il 2025, che promettono di trasformare profondamente la struttura economica e sociale della nazione confinante con Venezuela e Brasile. “Non ubriachiamoci”, ha commentato il presidente David Granger. E, in vista del boom, le tensioni politiche e l’inesperienza del Paese nel settore petrolifero preoccupano gli osservatori internazionali. Le leggi di riferimento risalgono agli anni ’80, il Dipartimento per l’Energia fino a oggi ha gestito un budget annuale di soli 2 milioni di dollari e il Paese è alla 93esima posizione su 180 nella classifica di Transparency International sulla percezione della corruzione, al pari di Kosovo e Gambia. Clive Thomas, direttore della State Assets Recovery Agency, di recente ha dichiarato che è stato aperto un fascicolo sull’assegnazione dei diritti di esplorazione.

I britannici impedirono di esplorare le opportunità petrolifere – Con una popolazione di 780.000 abitanti, la Guyana è il terzo Stato sovrano più piccolo dell’America del Sud dopo Uruguay e Suriname, ed ex colonia prima olandese e poi britannica, è l’unico ad avere l’inglese quale lingua ufficiale. All’inizio del secolo i britannici non furono interessati a esplorare le opportunità petrolifere locali e con il British Mineral Oil Regulations del 1912 impedirono anche ogni azione straniera. Solo negli anni ‘30 le restrizioni iniziarono a essere riconsiderate, quando il vicino Venezuela era già passato da una produzione di 1,4 milioni di barili del 1921 a 13 milioni di barili nel 1929. Agli anni ’40 risalgono le prime esplorazioni, che tuttavia per molti decenni non ebbero esiti favorevoli, e anche quando il governo nel 1981 annunciò un piano per creare una compagnia petrolifera nazionale, l’attenzione restava rivolta allo sfruttamento di altre risorse: prima lo zucchero, che aveva sostituito cotone e caffè, poi la bauxite.

L’addio di Royal Dutch Shell che cedette la quota per un euro – Nel 1999 un accordo tra ExxonMobil e il governo del presidente Bharrat Jadgeo, che resterà in carica fino al 2011, conferiva agli americani condizioni molto favorevoli per esplorare lo Stabroek Block, vasta area off shore di 26.800 km quadrati. Le ricerche infruttuose, il crollo del prezzo del petrolio e le tensioni con il Venezuela portarono nel 2014 all’abbandono del Paese da parte di Royal Dutch Shell, partner nel progetto, che cedette la propria quota per un dollaro. L’ingresso di Hess Corporation, società energetica americana e della terza compagnia petrolifera cinese, Cnooc, con il 30% e il 25% rispettivamente, fu seguito a marzo 2015 dalle prime esplorazioni del pozzo Liza-1. Quattro giorni dopo le elezioni di maggio 2015, che videro la vittoria a sorpresa di David Granger, ExxonMobil annunciava di avere finalmente trovato l’oro nero. Da quel momento sono stati individuati complessivamente 16 siti petroliferi, che fanno della Guyana il Paese con le maggiori riserve pro-capite al mondo. Uno studio di Rystad Energy dello scorso anno confermava la presenza di 2.900 barili per persona in Arabia Saudita e ben 3.900 in Guayana. Oggi, con le ultime scoperte, le previsioni sono addirittura raddoppiate e ci si attende complessivamente l’estrazione di oltre 6 miliardi di barili. Dal 2017 anche Saipem è stata coinvolta nel progetto, e pochi giorni fa ha ottenuto un nuovo contratto da 880 milioni di dollari da Esso Exploration and Production Guyana, una controllata di ExxonMobil, per lo sviluppo di strutture sottomarine nello Stabroek Block.

Al governo 300 milioni nel 2020, 5 miliardi entro il 2025. Fmi: “Termini favorevoli per gli investitori” – La produzione partirà a dicembre e nel primo trimestre del 2020 si prevedono oltre 100.000 barili al giorno, con l’obiettivo di ExxonMobil di arrivare entro il 2025 a una produzione di almeno 750.000 barili al giorno, un barile per persona. Il Paese chiuderà quest’anno con una crescita del 4,4% del Pil, che vale circa 4 miliardi di dollari, ma il Fondo monetario internazionale stima per il prossimo anno una crescita dell’85,6%, quattordici volte la crescita cinese, con un reddito medio per persona più che raddoppiato, a 10.000 euro all’anno. Nel 2024 il Pil è proiettato a 15 miliardi di dollari, il petrolio ne rappresenterà il 40 per cento. Il 75% della produzione sarà inizialmente diretto al recupero dei costi di ExxonMobil e dei partner, il restante 25% verrà considerato come profitto e diviso al 50% con il governo. Gli accordi prevedono una royalty del 2% sui guadagni lordi, che porteranno il governo a una quota del 14,5% dei ricavi totali. Il Fmi prevede che questa percentuale andrà a crescere negli a venire, quando i costi saranno stati coperti, con il vantaggio di avere il barile di riferimento, per il pozzo Liza-2, a 35 dollari, sui prezzi del 2016. Ma tre anni fa ExxonMobil e il governo avevano rinegoziato gli accordi del 1999, e il nuovo contratto è stato criticato più volte dall’opposizione, considerato un’occasione persa per il Paese. Lo stesso Fmi, in un report di aprile 2018, segnalava che i termini del contratto del 2016 erano “favorevoli per gli investitori secondo gli standard internazionali”. Il governa stima di incassare 300 milioni di dollari nel 2020, che diventeranno 5 miliardi entro il 2025, gestiti da un fondo sovrano creato lo scorso anno, con il compito di guidare la transizione energetica del Paese dagli idrocarburi alle rinnovabili nel giro di un decennio.

Emergenza corruzione: inchiesta aperta sull’assegnazione dei diritti – Lo scorso 21 dicembre il governo di coalizione di Granger è stato bocciato per un voto in una consultazione di fiducia in Parlamento. La Costituzione guyanese sancisce in questi casi il ritorno alle urne entro tre mesi, ma dopo una serie di battaglie legali i termini sono stati allungati e nonostante la legislatura si sia conclusa il 19 settembre, il presidente Granger ha annunciato nuove elezioni solo per il 2 marzo 2020, dunque alcune settimane a seguire l’inizio della produzione petrolifera. In corsa, a sfidare Granger, c’è il Partito progressista del popolo, che ha guidato la nazione per 23 anni, firmando i primi accordi con ExxonMobil nel 1999. Le tensioni politiche preoccupano gli osservatori internazionali, insieme all’inesperienza del Paese nel settore petrolifero. Le leggi di riferimento risalgono agli anni ’80, il Dipartimento per l’Energia fino a oggi ha gestito un budget annuale di 2 milioni di dollari, e il Paese è alla 93esima posizione su 180 nella classifica di Transparency International sulla percezione della corruzione, al pari di Kosovo e Gambia. In un’intervista a Bloomberg, Clive Thomas, direttore della State Assets Recovery Agency, un’unità anticorruzione, ha dichiarato che è stato aperto un fascicolo sull’assegnazione dei diritti di esplorazione. Sebbene le indagini siano appena iniziate e non abbiano alcun riscontro diretto, tuttavia “per noi ci sono abbastanza evidenze e vogliamo portare avanti il caso”, ha detto Thomas.

Le lezioni amare di Trinidad e Tobago e Ghana – La Guyana ha quasi il 40% della popolazione in condizioni di povertà ed è ferma al 125esimo posto nell’indice dello sviluppo umano dell’Onu. “Non ubriachiamoci di petrolio, restiamo sobri, perché vogliamo essere sicuri che durante questo decennio di sviluppo ogni settore, ogni segmento della nostra economia e società possa beneficiare dello sviluppo economico”, ha detto lo scorso mese il presidente Granger. Il Venezuela, con un’inflazione per il 2019 al 200.000% e una disoccupazione prevista al 50,5% nel 2020, insegna che il petrolio può diventare un boomerang. Il Fmi, nel suo report, sottolinea le esperienze di Trinidad e Tobago e del Ghana. Il Paese caraibico negli anni ’70 aveva beneficiato del rialzo dei prezzi dell’oro nero, investendo nella modernizzazione della nazione. La spesa crebbe rapidamente, così come i salari, superando la produttività e generando una rapida inflazione. L’erosione della competitività dei settori non petroliferi e il declino negli anni seguenti del valore del barile portarono a una contrazione dell’economia del 7,5% nel 1983 e a misure drastiche da parte del governo. Il Ghana invece aveva avviato la produzione nel 2011. In poco tempo il Paese vide crescere il reddito medio della popolazione e fu classificato come Paese a reddito medio basso, impedendo l’accesso a finanziamenti con condizioni speciali. La rapida crescita del debito pubblico e il crollo del prezzo del greggio nel 2014, costrinsero il Paese africano a chiedere un anno dopo l’intervento del Fmi.

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