Entro il 2042 gli over 65 in Italia saranno 19 milioni. Di questi, quasi sei milioni (gli abitanti attuali del Lazio, per dare un ordine di grandezza) vivranno da soli. Eppure, a fronte di una delle popolazioni più anziane del mondo, e quindi sempre più bisognosa di assistenza, la spesa sanitaria italiana è una delle più basse a livello internazionale: il 6,7% del Pil nel 2022, contro il 10-11% di Francia, Germania e Regno Unito. Dato che nei prossimi anni è destinato a calare, stando a quanto previsto nella legge di Bilancio, fino a raggiungere il 6,1% del Pil nel 2026. Una scarsità di risorse che già oggi costringe circa due milioni e mezzo di persone non autosufficienti a fare a meno del servizio pubblico assistenziale, trasformando implicitamente la natura del Sistema sanitario nazionale da universalistica a selettiva. È quanto emerge dal Rapporto Oasi 2023 (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano), presentato all’Università Bocconi di Milano.

Il report, curato dal Centro di ricerche sulla gestione sanitaria e sociale (Cergas), dipinge un quadro preoccupante. Il Ssn, già in affanno prima dell’emergenza Covid, non riesce ora a recuperare i livelli erogativi pre pandemici. Lo dimostrano le lunghe liste d’attesa che ancora tardano a esaurirsi. In particolare nel Mezzogiorno, dove la percentuale di recupero delle prestazioni arretrate si ferma al 30% (contro il 60% del Nord e il 70% del Centro). Ed è così che, per velocizzare le tempistiche, chi se lo può permettere decide di affidarsi alla sanità privata. Secondo il rapporto, il 50% delle visite ambulatoriali e il 33% degli accertamenti diagnostici ambulatoriali sono pagati privatamente. A dimostrazione di come il Ssn già non sia in grado di garantire tutto a tutti, gratuitamente e in qualsiasi contesto. La selezione viene già fatta, seppur in modo implicito e non governato. La proposta dei ricercatori Cergas è che si prenda atto della situazione attuale, in modo che la selezione diventi almeno consapevole e avvenga in base alle priorità e ai bisogni dei cittadini. Non attraverso un razionamento dei servizi offerti dunque – come sta ora avvenendo -, ma grazie a una riorganizzazione delle strutture e a una ridefinizione delle priorità del sistema.

Per comprendere il modo in cui il Ssn raziona i servizi offerti, il rapporto presenta un approfondimento sul settore socio sanitario, prendendo in esame i dati sull’assistenza domiciliare nel Paese. In Italia ci sono 3,9 milioni di over 65 che, per via di limitazioni funzionali, sono considerati non autosufficienti. Si tratta di circa il 28% del totale dei cittadini che hanno compiuto 65 anni. Secondo il rapporto, considerate le risorse disponibili, il tasso di copertura dei bisogni di queste persone è insufficiente. Con 4,7 miliardi di euro l’anno, l’Italia impiega lo 0,18% del Pil per finanziare l’assistenza domiciliare, riuscendo a raggiungere solo il 52% degli over 65 con gravi difficoltà, con una media di 16 ore annue per ogni persona. Per fare un paragone con altri paesi europei, la Francia stanzia oltre 15 miliardi (lo 0,39% del Pil). Mentre il Belgio, con 5 miliardi (lo 0,99% del Pil) raggiunge il 75,5% delle persone over 65 con gravi difficoltà.

Un altro elemento critico per la dichiarata natura universalistica del Ssn è rappresentato dalle profonde disparità tra aree del Paese. La differenza nella speranza di vita in buona salute alla nascita tra chi abita nella provincia autonoma di Bolzano e chi risiede in Calabria è di più di 16 anni. In media, i cittadini calabresi vivono in buona salute per 53 anni, contro i 61 dei loro connazionali della Lombardia e i 62,5 degli abitanti della Toscana. In Campania – dove il valore della spesa sanitaria pubblica pro capite è il più basso d’Italia – la speranza di vita alla nascita è di oltre tre anni inferiore a quella nella provincia autonoma di Trento. Differenze territoriali che trovano conferma anche osservando la percentuale di pazienti cronici in buona salute: al Nord sono il 46,9% mentre al Sud il 41,7%. Solo il 37,2% sulle Isole.

Inoltre, il Rapporto Oasi 2023 fotografa la situazione di tensione presente nel Ssn a causa della carenza e dell’età del personale sanitario. Nonostante nel biennio della pandemia i dipendenti del Ssn siano aumentati del 3%, i volumi dei servizi offerti sono diminuiti. Secondo i ricercatori, le motivazioni di questo squilibrio sono da individuare in più fattori, come l’anzianità del personale, il sistema retributivo pubblico – poco competitivo rispetto a quello privato – e le condizioni lavorative in cui versano i professionisti, già sfiancati dallo sforzo profuso durante l’emergenza Covid. Nonostante nei prossimi anni la nuova programmazione delle facoltà di Medicina e delle scuole di specializzazione riporterà gli organici medici in linea con gli standard europei, alcune discipline continueranno a rimanere scoperte, creando squilibrio nel sistema. Vale soprattutto per la medicina d’emergenza-urgenza, l’anestesia e la rianimazione, e per la medicina di laboratorio. Ma la carenza di personale più preoccupante, sottolineano i ricercatori, è quella che coinvolge gli infermieri, figure professionali fondamentali nei processi assistenziali. La mancanza di vocazione comporta un continuo calo nelle iscrizioni ai corsi di laurea, indipendentemente dal numero di posti disponibili nelle università. Questo fa sì che l’Italia abbia un numero di infermieri ben al di sotto di quello degli altri paesi occidentali. Nel 2023, dalle facoltà usciranno circa 10mila professionisti, un terzo del fabbisogno. Un dato che diventa ancora più allarmante se confrontato con l’ulteriore invecchiamento a cui la popolazione nazionale andrà incontro nei prossimi vent’anni.

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