Secondo il ministro della Salute Orazio Schillaci la misura doveva mettere un freno al fenomeno dei medici a gettone. Ma a sei mesi dalla conversione in legge del decreto Bollette, la situazione dei pronto soccorso è rimasta pressoché invariata: i costosissimi gettonisti delle cooperative continuano a tappare i buchi dovuti alla carenza di camici bianchi. La tanto attesa sostituzione con gli specializzandi non c’è stata. La misura prevede che siano proprio i medici in formazione, su base volontaria e fuori dall’orario previsto dalla Scuola, a subentrare come nuove risorse nei reparti di medicina d’emergenza-urgenza in difficoltà, ma solo per otto ore settimanali. Troppo poco secondo le associazioni di specializzandi che denunciano l’insuccesso del provvedimento: “Praticamente nessuno ha usufruito di queste otto ore”, spiega a ilfattoquotidiano.it Antonio Cucinella, presidente di Giovani Medici per l’Italia. “Nonostante la paga sia buona (il compenso orario è di 40 euro lordi e integra la remunerazione prevista per la formazione specialistica, ndr), otto ore sono troppo poche per poter essere prese in considerazione”, commenta. In ogni caso, secondo il presidente di Gmi, per gli specializzandi è stato impossibile accedere a questo incarico libero-professionale: “Al di là delle poche ore previste, gli ospedali non hanno reso possibile l’applicazione di questo provvedimento. Non sono stati aperti i bandi, che sono l’unico modo per accedere a questa misura. Si è preferito continuare a utilizzare i gettonisti”.

Tra gli specializzandi il provvedimento incluso nel decreto non è molto popolare. Molti non ne hanno mai sentito parlare. “Noi avremmo potuto fare più sponsorizzazione”, ammette Cucinella, “anche se, vista la mancanza di bandi, non c’era poi tanto da comunicare”. I camici bianchi in formazione che hanno accettato questa attività extra sono pochi. “Ci sono colleghi che versano in condizioni di sfruttamento tali da non avere né il tempo né l’energia fisica per poter pensare di lavorare otto ore in più – continua Cucinella -. Altri preferiscono impiegare le ore che hanno a disposizione per altri incarichi”. E sullo sfondo restano i contrasti con il mondo accademico. “I direttori delle Scuole si inventano qualsiasi scusa per non lasciare andare via i loro specializzandi”, commenta Cucinella. “Hanno un astio totale verso la possibilità di farli lavorare in maniera libera. Abbiamo ancora problemi a far ottenere ai colleghi le assunzioni a tempo determinato previste dal decreto Calabria del 2019. Figuriamoci con il decreto bollette”.

Anche per Fabio De Iaco, presidente nazionale della Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza (Simeu), il contributo degli specializzandi previsto dal decreto è risultato molto modesto. “L’iniziativa sta partendo molto a rilento ma c’è interesse, noi continuiamo a sostenerla”, dichiara a ilfattoquotidiano.it. De Iaco aveva sposato l’idea alla base del provvedimento: coinvolgere gli specializzandi in pronto soccorso, modulando le loro responsabilità, per evitare il collasso del sistema. Questo anche considerando l’alto livello di formazione dei giovani medici. Ma è insoddisfatto per le poche ore previste. Con otto ore, infatti, un pronto soccorso non può neanche coprire un turno di notte. “Avevamo chiesto che fossero 12 per i primi due anni di specializzazione e 18 dal terzo in poi. Era anche stato proposto un emendamento al momento della conversione in legge del decreto, ma fu bocciato”, spiega De Iaco.

Le misure contenute nel decreto sono il risultato delle richieste opposte di due mondi. Da una parte gli ospedalieri, per i quali gli specializzandi sono risorse importanti tenute chiuse per cinque anni nelle Scuole. Dall’altra gli universitari, che fanno resistenza, non volendo rinunciare ai loro medici in formazione. Un nodo da sciogliere secondo De Iaco: “Dobbiamo parlarci. Il contatto tra questi due mondi, che già c’è, deve essere intensificato. Inizio a vedere dei segnali in questo senso. Non può esserci antitesi tra ospedalieri e universitari. Bisogna metterci insieme e lavorare diversamente, vista la situazione in cui versa il Sistema sanitario nazionale”, commenta De Iaco.

All’ospedale Maria Vittoria di Torino, dove è direttore di pronto soccorso, il decreto bollette è stato utilizzato e il bando è stato aperto. “Abbiamo preso qualcuno che ha già iniziato a lavorare, seppur per poche ore settimanali, ma almeno ci sono”, dice il presidente di Simeu, e prosegue: “L’obiettivo deve essere quello di superare il problema dei bandi. Deve essere lasciata aperta una manifestazione di interesse perenne alla quale ci si possa iscrivere in qualsiasi momento”. Anche perché negli ultimi mesi la situazione dei reparti di emergenza-urgenza è rimasta stagnante. “È stata registrata una lieve diminuzione delle cooperative a favore delle prestazioni aggiuntive, soprattutto da parte di professionisti di altri reparti dell’ospedale che sono venuti a fare dei turni in pronto soccorso – spiega. Ma si tratta di un contributo modesto che non risolve il problema”.

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