di Useppe

Qualche anno fa ebbi modo di ascoltare un intervento di Andrea Giardina, uno dei più stimati studiosi italiani di Storia romana. A un certo punto del discorso, mentre parlava degli imperatori Marco Aurelio e Commodo e della gladiatura, il professore citò il celebre Gladiatore di Ridley Scott. Negli anni avevo letto numerose critiche, cartacee e online, ai vari errori di quel kolossal, veri e propri sfottò alle diverse libertà storiche che, volontariamente o meno, il film si prendeva. In quell’istante, sentendolo citare da un grande storico, mi aspettai di sentire ancora una volta biasimo e rampogne, magari la bella “blastata” di un esperto, di quelle che piacciono tanto alla rete sempre in cerca di fessi d’additare. Invece restai di stucco, perché il grande professore parlò bene del film, di come aveva modificato la rappresentazione del gladiatore e del combattente romano, e aggiunse che mettersi a elencare gli errori storici davanti a un’opera del genere sarebbe stato poco fertile, poiché in realtà se gli artefici avessero voluto fare qualcosa di storicamente minuzioso e farsi guidare da degli storici, con tutti i mezzi a disposizione che avevano, lo avrebbero fatto. Probabilmente a Scott, a Joaquin Phoenix e a tutta la loro squadra, l’accuratezza storica non interessava più di tanto, forse non interessava affatto.

Solo dopo aver compreso questo punto di partenza si può guardare con uno sguardo più sereno e adatto Napoleon, l’ultima collaborazione del regista e dell’attore di Joker, da pochi giorni nelle sale e già avvolta dalle perplessità di cinefili e di tanti appassionati di storia, tra cui l’amatissimo professor Alessandro Barbero, che ha espresso dubbi sulla pellicola dopo la sola visione del trailer. Scott ancora una volta non vuole creare una monografia universitaria, e nemmeno un manuale scolastico, ma inseguire le sue idee giocherellando con il passato e con un personaggio mitico, saltellando con energia tra varie decisive tappe del percorso di Bonaparte, dagli anni successivi alla Rivoluzione sino a quelli della sua fine, per una durata di due ore e quaranta che forse prima della visione potrebbe spaventare ma che poi non pesa, grazie alla mano di un narratore sapiente che sa offrire picchi di vero spettacolo.

Il discorso dell’autore procede con il ritmo di un’improvvisazione jazz, tra interruzioni, ripetizioni, scatti e volteggi, contrapponendo in maniera netta la dimensione pubblica e storica del condottiero al suo privato da uomo normale, quasi mediocre, e innamorato: da un lato vediamo le vittorie e le cadute, che arrivano inesorabili attraverso scene di battaglia magistrali e spettacolari, che varrebbe davvero la pena di ammirare su un grande schermo; dall’altro abbiamo l’umano, goffo, debole e segnato dalla pene di un amore infantile e quasi ossessivo.

Con il mento basso, le spalle alte, contratto nella postura e nella voce che mugghia e si trascina, Joaquin Phoenix crea un Napoleone uomo medio e maldestro, che vive come una dipendenza il suo amore per la Josephine di Vanessa Kirby, troppo giovane per la parte ma comunque ammaliante e in grado di trasmettere fierezza e fascino, da cui l’uomo cerca continue rassicurazioni, per cui invano vorrebbe essere l’unico e a cui dedica quasi ogni pensiero e la sua ultima parola. Gli altri personaggi sono meno ponderosi, a esclusione del Wellington di Rupert Everett, bravo attore che fa tanto piacere rivedere finalmente in un film di una certa importanza: forse nella già annunciata versione estesa del film verranno colmati questi vuoti e si darà giustamente più spazio alla grande mente militare e al suo rapporto con i soldati che non esitano a tornare dalla sua parte prima della fine, ai nemici, agli alleati, ai caduti, che per ora sono parsi figurine che si dissolvono e cadono facilmente, come del resto lo stesso protagonista facilmente crolla dal sonno e tende ad assopirsi.

Ciò che Scott ha ricavato dalla storia è un’affascinante rassegna di disgrazie e catastrofi decise da uomini piccoli, che piangono, ansimano, sbadigliano e si crucciano, umani capricciosi che in cerca di vana gloria giocano con la vite degli uomini ancora più piccoli, dei poveri cavalli e forse sprecano la loro, cercando fino alla fine conferme della loro scalata sociale, dei loro amori concepiti come un’ennesima forma di dominio e della loro grandezza, sicurezze che non arriveranno mai fino in fondo.

Per me vale davvero la pena di divertirsi con questo Golia che contiene in sé il suo Davide, andare a prendere a cannonate le piramidi con questo titano rimasto bambino. Poi, per chi cerca la storia vera, ci sono in rete conferenze e documentari di Barbero e, nella pericolosa ipotesi che qualcuno nel 2023 volesse ancora leggere e studiare, ci sarebbero anche i libri appositi. Scott nel bene e nel male ci ha dato del cinema, forse gradasso e sfarzoso ma, affascinante e non vuoto, e di questi tempi non è poco.

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