Cinema

Il punto di rugiada, il film poeticamente irregolare di Marco Risi che sembra un rinnovato Cocoon

di Davide Turrini

Non so se c’entra, ma in venticinque anni di lavoro non ho mai recensito un film di Marco Risi. Mi tocca, finalmente, quando il figlio dell’indimenticabile Dino ha 72 anni e ha girato un film sui vecchi. Il punto di rugiada, Fuori Concorso al 41esimo Torino Film Festival, è uno di quei film sbozzati, poeticamente irregolari che Risi gira spesso da quando ha abbandonato nei primi anni novanta quel cinema di impegno civile (Il muro di gomma, Mery per sempre, per dirne un paio) e gli esordi malinconico-comici di Vado a vivere da solo e Un ragazzo e una ragazza.

Ecco, quella vena di risata individualista e amara, che era costante e sottotraccia nei film con Jerry Calà, e che è stata tutta addosso a quel geniaccio del padre Dino, ora riemerge cristallina e toccante in questo racconto sulla terza età che incrocia quella appena adulta ma già fuori strada. Un ragazzotto ricco e superficiale, Carlo (Alessandro Fella), dopo aver provocato da ubriaco un incidente d’auto deve scontare un anno di lavori socialmente utili in una casa di riposo.

Nell’elegante Villa Bianca incontra Manuel (Roberto Gudese), colto in fragrante mentre spacciava e ora pure lui inserviente socialmente utile con le cuffie del walkman in testa e i ritmi degli anni sessanta sparati a mille nei saloni comuni; e la capoinfermiera immusonita e affascinante Luisa (Lucia Rossi) della quale Carlo si invaghirà. Attorno, in mezzo, dentro alla sua e alle loro anime ci sono i vecchietti di Villa Bianca. Un compendio stralunato e funambolicamente iperattivo che assunte pillole e pannoloni continua però a vivere tra twist sciancati, abbiocco davanti alla tv, poesiole e collage, tomboloni natalizi. Ed è proprio nell’illustrare questo acquario rinchiuso e fluttuante, con parecchi caratteri sparsi e naif, che Risi costruisce l’architrave della sua riflessione filmata più che sulla terza età sul senso profondo del vivere quando corpo e testa cominciano a svanire.

Parafrasando meteorologicamente il punto di rugiada – la temperatura alla quale l’aria diventa satura di vapore acqueo – la lente adoperata da Risi è magica (la neve, i balli, il sesso, le idiosincrasie buffe dei singoli come la vecchietta che ha sempre la valigia pronta per salire su un pullman che non c’è) ma anche necessariamente realistica (i rapporti familiari degli ospiti, l’eutanasia). Ne esce un film che ha striature crepuscolari da La casa del sorriso, ma che soprattutto sa trattenere un perfetto equilibrio tra lacrima e risata come fosse un rinnovato Cocoon.

Ritmato da quattro aulici capitoli/stagioni, trattenuto nel carattere ripetitivo di situazioni secondarie (l’andirivieni di Binasco, ad esempio, nel parco di Villa Bianca), Punto di rugiada annovera un signorile e raffinato cast di vecchie glorie che risponde presente lasciando continuamente tra gli angoli del racconto uno sbuffo di curiosa follia: il burbero colonnello interpretato da Eros Pagni; la svolazzante Erica Blanc; il travolgente e dinoccolato Maurizio Micheli e il duo Luigi Diberti-Massimo DeFrancovich, quest’ultimo nella parte nientemeno di un certo Dino che vuole morire quando pare a lui. Infine agli atti l’effervescenza e la gioia dei brani musicali d’antan: Riderà, Un bacio a mezzanotte, Stasera mi butto, Saint Tropez twist.

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