Il 10 agosto 1969, sulle ande boliviane, il Perù si gioca una fetta di qualificazione al Mondiale dell’anno seguente. Una partita sicuramente importante sul piano sportivo, ma destinata a passare alla storia per un altro motivo. Tutti, ancora oggi, la ricordano come uno dei più grandi scandali di corruzione della storia del calcio sudamericano, tra intrighi internazionali, incidenti diplomatici sfiorati e un arbitro diventato sinonimo di truffatore.

Per spezzare l’incantesimo e interrompere un’astinenza iridata che si protrae ormai da quattro decadi, la Federazione peruviana non ha badato a spese. Stregata dalla qualità del gioco offerta dallo Sporting Cristal laureatosi campione nazionale giusto qualche mese prima, ha affidato la panchina della nazionale a Didi – il leggendario centrocampista della Seleção pluricampione del mondo – tecnico proprio dei Cerveceros.

Inserito nel primo gruppo di qualificazioni sudamericane, in compagnia di Bolivia e Argentina, entrambe temibili per ragioni diverse, il Perù parte con il vento in poppa, superando di misura l’Argentina tra le mura amiche del Nacional di Lima grazie ad una rete di Leon. Come inizio, davvero poco male. La seconda tappa del tortuoso percorso che ha come meta il Messico, porta l’Albirroja in Bolivia, dove ad attenderlo, oltre agli agguerriti padroni di casa, ci sono tutti i terribili disagi legati all’eccezionale altura dell’Hernando Siles, una cattedrale in mezzo alle nuvole, situata a quasi 4000 metri sul livello del mare.

In campo e sugli spalti, l’atmosfera che si respira è quella riservata alle grandi occasioni. Il Perù, in cui albeggiano i talenti di una covata forse irripetibile, che avrebbe costituito la generazione d’oro degli anni ’70, sblocca il risultato in avvio di ripresa grazie a Roberto Challe, lesto e abile nel correggere in rete una conclusione di “PericoLeon. Ben presto, però, il sogno di una vittoria che farebbe scattare qualcosa in più di una mezza ipoteca sulla qualificazione, comincia a svanire sotto i colpi di una Bolivia pungolata nell’orgoglio. In pochi minuti la Verde, campione del Sudamerica nel ’63, in cui giostra l’idolo Ramiro Blacutt – rientrato da poco in patria dopo una infruttuosa esperienza al Bayern Monaco – ribalta la situazione, ristabilendo prima la parità con Juan Americo Diaz, poi beneficiando di una grottesca autorete di Hector Chumpitaz per operare il sorpasso. Colui che qualche anno più tardi sarebbe diventato per tutti “El Gran Capitan”, braccato da un attaccante boliviano, pondera male distanze e tempi della chiusura, scavalcando un esterrefatto Luis Rubiños con una deliziosa palombella. Peccato che si infili nella porta sbagliata.

Tuttavia, indomabile, l’Albirroja risale la corrente e trova il 2-2 grazie ad un bolide mancino dell’ex cagliaritano Alberto Gallardo. Misteriosamente, però, il direttore di gara designato dalla Fifa per l’occasione, ovvero Sergio Chechelev – un fischietto jugoslavo, ma naturalizzato venezuelano – annulla in maniera piuttosto inspiegabile la marcatura. In un amen il direttore di gara viene circondato e bersagliato dalle proteste dei peruviani, comprensibilmente furibondi per lo spiacevole accaduto. Challe schiuma rabbia più degli altri e non riesce proprio a trattenersi dal commettere un’imprudenza, perdendo letteralmente le staffe e arrivando addirittura al contatto fisico con l’arbitro. Nell’incandescente testa contro testa, che precede la lieve capocciata che il “Niño Terrible” assesta al contestato direttore di gara, Chechelev chiude istintivamente le palpebre. Quando le riapre, impossibilitato ad identificare con certezza l’autore del deplorevole gesto, sventola il cartellino rosso sotto il naso di Ramon Mifflin, credendolo erroneamente responsabile. Servono dieci minuti, e altre due espulsioni, quella del peruviano Nicolas Fuentes e del boliviano Juan Farias, affinché le proteste peruviane si plachino leggermente e si possa tornare alla normalità, riprendendo il filo laddove si era coattivamente interrotto.

Nei pochi scampoli rimasti l’Albirroja non riuscirà a rimettere in piedi quell’incontro. Tuttavia, la tanto sospirata qualificazione iridata, seppur con qualche traversia in più da affrontare, arriverà in pompa magna a Buenos Aires, quando una doppietta di OswaldoCanchitoRamírez ammutolirà il Monumental, privando l’Argentina del sogno mondiale. Chechelev, invece, dopo aver fatto parlare di sé anche in Venezuela per alcuni episodi simili, verrà rintracciato in Colombia da alcuni cronisti peruviani, confermando i dubbi su quella sospetta svista arbitrale. Alla perentoria domanda, “Quanto ti pagò la Bolivia per quel furto?”, lui, che nel frattempo si era fatto spuntare i baffi, rispose spavaldo, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo: “Non furono i boliviani a corrompermi, ma bensì gli argentini. La cifra, però, resta un segreto“. Anche se restano dubbi sulla veridicità di queste dichiarazioni, specie sul coinvolgimento dell’Argentina, di sicuro dalle parti di Lima Sergio Chechelev è rimasto scolpito nell’immaginario collettivo, tanto da entrare nella cultura popolare, diventando il lestofante prezzolato per antonomasia. Una sorta di Byron Moreno ante litteram.

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