di Savino Balzano

Lo scontro attorno allo sciopero di venerdì è emblematico delle condizioni miserrime nelle quali versa la nostra democrazia. La Costituzione sancisce il diritto allo sciopero all’articolo 40, la libertà sindacale all’articolo 39, ma soprattutto (e nessuno in queste ore lo ricorda) impone alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli alla partecipazione dei lavoratori (articolo 3, comma 2).

Non entro nel merito degli argomenti a supporto della decisione della Commissione di garanzia: credo che lo sciopero sia stato progettato male e in effetti non manifesta l’aspetto che dovrebbe assumere uno sciopero generale; allo stesso tempo mi inquietano i collegamenti, evidenziati da qualcuno, tra alcuni membri della Commissione medesima e il governo. Ad ogni modo, ripeto, non ci entro nel merito perché credo che la politica sia più importante delle tecnicalità giuridiche ed esprima un senso molto più profondo di quello che possono esprimere le asserzioni di un leguleio.
Non mi schiero a favore del governo e non mi schiero in difesa di Landini: sono dalla parte dei lavoratori.

Credo che gli argomenti del ministro Salvini siano semplicemente ridicoli: vecchia, banale, puerile strategia che prova a mettere gli uni contro li altri gli scioperanti e il resto della cittadinanza. I cattivi non sarebbero coloro i quali hanno corroborato le ragioni della protesta: sarebbero i protestanti stessi, che osano lamentarsi e disturbare. Pensate un po’: Salvini denuncia il disagio prodotto dallo sciopero. E quale altro dovrebbe essere l’effetto dello sciopero se non quello di creare disagio per attirare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica? In tante circostanze Salvini si è prestato a esternazioni surreali: ricordo il rosario in piazza e l’eterno riposo recitato su canale 5 con Barbara D’Urso: mamma mia, che imbarazzo! Conferma lo stesso registro in questa circostanza: evidenziando persino l’inquinamento che lo sciopero avrebbe potuto produrre domani. Avete capito bene: in Italia lo sciopero è un problema anche perché inquina.

È insopportabile questo tentativo di dividere il mondo del lavoro dagli studenti e da tutto il resto del Paese: che si provi a ostracizzare una protesta del genere facendo leva sul disagio è davvero imbarazzante, soprattutto a pochi mesi dalle lotte francesi contro la riforma delle pensioni voluta da Macron. Il governo è intollerante perché sa di essere debole: siamo dinanzi a una delle peggiori leggi finanziarie nella storia della Repubblica. E si prova dunque financo a sindacare (appunto) la scelta di scioperare di venerdì: screditando, sbertucciando chi aderisce a proprie spese, rinunciando alla retribuzione diretta e differita per l’astensione dal lavoro, dipingendolo brunettianamente come un fannullone che ambisce solo al weekend lungo. Davvero indecente: i lavoratori e i loro rappresentanti scelgono liberamente il giorno dello sciopero e se, per massimizzare il risultato, ritengono di proclamarlo per un venerdì sono fatti loro.

Ciò premesso, vi spiego perché non sono con Landini.

Questa manovra è miserrima, ma a pensarci bene è perfettamente in linea con la politica economica adottata dal nostro Paese dal suo commissariamento del 2011: commissariamento giunto anche grazie alla volontà dello stesso Draghi, la cui mano era poggiata sulla spalla di Landini in una foto di pochi mesi fa. Insomma, battersi oggi per la sanità pubblica dopo aver appena miagolato mentre si tagliavano 40 miliardi non è molto credibile. Scendere in piazza per il lavoro a fianco al Pd che di quelle politiche è stato vessillifero, che ha appoggiato la modifica dell’articolo 18 nel 2012 e che lo ha messo fuori gioco firmando il jobs act del 2015, è ancor meno credibile. Il sindacato viene attaccato frontalmente da una politica oltraggiosa perché, salve le dovute eccezioni, non fa più presa sulla comunità del lavoro e dunque è vulnerabile: è completamente screditato, purtroppo compromesso. E ha gioco facile (e non tutti i torti) chi vede nell’attuale atteggiamento di Landini una pretestuosità data dal gioco delle parti: al governo c’è Meloni e si fa casino.

Per me estremamente significativa è la campagna della Cgil intitolata Ecco dove era la Cgil: una reazione a chi accusa il grande sindacato di essere stato praticamente con le mani in mano mentre governi nefasti per il mondo del lavoro trituravano diritti frutto di trent’anni di lotte, sudore e morti. Per come la vedo io, un autogol senza precedenti. Mi domando: se un sindacato di massa è presente sul territorio e lotta poderosamente contro le ingiustizie che la politica a tutti i livelli riserva al mondo del lavoro, che necessità ha di dimostrarlo con una campagna di questo tipo? Insomma, ve lo immaginate Cofferati intento a dimostrare di essere sceso in piazza contro il governo Berlusconi nel 2002, quando portò (di sabato!) al Circo Massimo tre milioni di persone contro l’ipotesi di riforma di quell’esecutivo? Sarebbe risultato semplicemente incomprensibile: perché rimarcare ciò che è evidente e che nessuno mai metterebbe in discussione?

Ecco perché quanto accade è sintomatico della fragilità della nostra democrazia: da un lato hai un governo tecnico, fintamente politico, insofferente alla protesta e prono agli ordini del pilota automatico in politica economica; dall’altro vediamo un’opposizione e un mondo sindacale in gran parte infangati e ormai privi di qualsivoglia credibilità.

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