Questa storia è stata prodotta da The Outlaw Ocean Project, un’organizzazione giornalistica senza scopo di lucro con sede a Washington, D.C. Hanno contribuito alla stesura del testo Ian Urbina, Daniel Murphy, Joe Galvin, Maya Martin, Susan Ryan, Austin Brush e Jake Conley.

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In una mattina nuvolosa dello scorso aprile, più di ottanta uomini e donne, vestiti con giacche a vento rosse abbinate, stavano in una fila ordinata davanti alla stazione ferroviaria di Kashgar, una città dello Xinjiang, in Cina. Erano uiguri, una delle principali minoranze etniche della Cina. Stavano in piedi con le valigie poggiate a terra e un’espressione cupa sul volto, mentre assistevano a una cerimonia di addio organizzata in loro onore dal governo locale. Un video dell’evento mostra una donna che indossa un abito tradizionale rosso e giallo e un berretto doppa che svolazza sul palco. Uno striscione recita: “Promuovere l’occupazione di massa e costruire l’armonia sociale”. Alla fine del video, un drone zoomma per mostrare i treni in attesa di portare via il gruppo. L’evento faceva parte di un vasto programma di trasferimento di manodopera gestito dallo Stato cinese, che invia con la forza gli uiguri a lavorare in industrie in tutto il Paese, comprese quelle che lavorano i prodotti ittici poi esportati negli Stati Uniti e in Europa.

Controllo e assimilazione – “È una strategia di controllo e assimilazione”, afferma Adrian Zenz, un antropologo che studia i campi di detenzione nello Xinjiang. “Ed è progettata per eliminare la cultura uigura”. Il programma sul lavoro fa parte di un’agenda più ampia che mira a sottomettere un popolo storicamente riottoso. La Cina è dominata dall’etnia Han, ma più della metà della popolazione dello Xinjiang, una regione nel nord-ovest senza sbocco sul mare, è composta da minoranze, per la maggior parte uiguri, ma anche kirghizi, tagiki, kazaki, hui o mongoli. Negli anni Novanta gruppi di uiguri sono insorti, nel 2018 e 2014 sono arrivati a lanciare bombe contro stazioni di polizia. In risposta, la Cina ha intensificato un ampio programma di persecuzione, in base al quale le minoranze musulmane possono essere detenute per mesi o anni per azioni quali recitare un versetto del Corano a un funerale o farsi crescere la barba lunga. Nel 2017, il governo ha raccolto campioni di Dna, impronte digitali, scansioni dell’iride e gruppo sanguigno di tutti i residenti dello Xinjiang di età compresa tra i dodici e i sessantacinque anni, e negli ultimi anni ha combinato queste registrazioni biologiche con dati di sorveglianza di massa provenienti da sniffer (apparecchi per l’intercettazione di pacchetti di dati, ndr) su reti wi-fi, telecamere di sorveglianza e attività di polizia. Il governo ha collocato milioni di uiguri in campi di “rieducazione” e strutture di detenzione, dove sono stati sottoposti a torture, percosse e sterilizzazione forzata.

Documenti riservati – All’inizio degli anni Duemila, la Cina ha iniziato a trasferire gli uiguri a lavorare fuori dalla regione, nell’ambito di un’iniziativa che in seguito sarebbe stata nota come “Xinjiang Aid”. Il locale segretario del Partito ha sottolineato che il programma avrebbe promosso la “piena occupazione” e “l’interazione, lo scambio e la miscelazione etnica”. Pubblicazioni accademiche cinesi parlano invece di un modo per “aprire una breccia” nel “problema sedimentato” della società uigura nello Xinjiang, dove lo Stato vede il “gran numero di giovani uiguri disoccupati” come una “minaccia latente”. Nel 2019, i ricercatori della Nankai University in Cina, che hanno avuto accesso privilegiato alle informazioni sul programma, hanno scritto un rapporto che è stato inavvertitamente pubblicato online, e descriveva i trasferimenti come “un metodo importante per riformare, mescolare e assimilare” la comunità uigura. Julie Millsap, dell’Uyghur Human Rights Project, ha osservato che, attraverso il programma, lo Stato può “dirigere e limitare tutti gli aspetti della vita degli uiguri”. (I funzionari del Ministero degli Affari Esteri cinese non hanno risposto alle nostre domande sul programma, ma Wang Wenbin, un portavoce, ha recentemente affermato che l’accusa di lavoro forzato è “nient’altro che un’enorme menzogna propagata da persone ostili alla Cina”). Tra il 2014 e il 2019, secondo le statistiche governative, le autorità cinesi hanno trasferito annualmente più del dieci per cento della popolazione dello Xinjiang – ovvero oltre due milioni e mezzo di persone – attraverso trasferimenti di manodopera; circa venticinquemila persone all’anno sono state inviate fuori dalla regione. L’effetto è stato enorme: tra il 2017 e il 2019, secondo il governo cinese, i tassi di natalità nello Xinjiang si sono ridotti di quasi la metà.

Vietato a giornalisti – In generale, ai giornalisti stranieri è vietato lavorare liberamente nello Xinjiang. Inoltre, la censura elimina da Internet i contenuti critici e non ufficiali sul lavoro uiguro. L’Outlaw Ocean Project ha lavorato con un team di ricerca per esaminare centinaia di pagine di newsletter aziendali interne, notizie locali, dati commerciali e immagini satellitari. Ha esaminato migliaia di video caricati su Internet – soprattutto su Douyin, la versione di TikTok utilizzata in Cina – che apparentemente mostrano lavoratori uiguri dello Xinjiang; ha verificato che molti degli utenti si erano inizialmente registrati nello Xinjiang e ha incaricato degli specialisti di esaminare le lingue utilizzate nei video. Ha anche ingaggiato degli investigatori per ispezionare alcuni degli stabilimenti. Da queste fonti ha ottenuto uno spaccato del sistema dei lavoro forzato uiguro che sta dietro al pesce che gran parte del mondo mangia.

Porta a porta – I trasferimenti di solito iniziano con qualcuno che bussa alla porta. Una “squadra di lavoro del villaggio”, composta da funzionari locali del Partito, entra in casa e inizia con una “opera di convincimento”, che consiste nell’esortare gli uiguri ad aderire ai programmi governativi, alcuni dei quali comportano il trasferimento. Spesso i funzionari hanno delle quote di ingaggio da soddisfare e a volte alle visite si uniscono i rappresentanti delle aziende statali, compreso lo Xinjiang Zhongtai Group, un conglomerato che compare nella lista delle 500 maggiori imprese al mondo stilata da Fortune, coinvolto nell’organizzazione dei trasferimenti di manodopera. Wang Hongxin, ex presidente di Zhongtai, che negli ultimi anni ha facilitato l'”assunzione” di oltre quattromila lavoratori provenienti dal sud dello Xinjiang, ha ammantato di rosa questa attività di reclutamento: “I contadini di Siyak desiderano ardentemente uscire di casa e trovare lavoro”. (L’azienda non ha risposto alle richieste di commento inviate per questo articolo).

Donne in carcere – La narrazione ufficiale fa intendere che i lavoratori uiguri siano grati per le opportunità di lavoro, e probabilmente alcuni lo sono. In un’intervista rilasciata ai media statali, una lavoratrice uigura ha dichiarato che lei e suo marito guadagnavano 22 mila dollari all’anno in un impianto per la lavorazione di prodotti ittici e che lo stabilimento forniva “vitto e alloggio gratuiti”. Ma una direttiva interna classificata del “Comando per il mantenimento della stabilità” della prefettura di Kashgar, risalente al 2017, mostra che le persone che si oppongono ai trasferimenti di lavoro possono essere punite con la detenzione. Zenz ci ha raccontato di una donna di Kashgar che ha rifiutato un trasferimento in fabbrica perché doveva prendersi cura di due bambini piccoli, e per questo è stata messa in carcere. Un’altra donna che ha rifiutato un trasferimento è finita in cella per “mancata collaborazione”. Lo Stato ha anche altri metodi per esercitare pressione. I bambini e gli anziani vengono spesso mandati in strutture statali; le terre di famiglia possono essere confiscate. Secondo un rapporto di Amnesty International del 2021, un ex detenuto di un campo di internamento ha dichiarato: “Ho capito che se un membro della famiglia si trova in un campo, bisogna lavorare affinché possa uscire rapidamente”.

Alla fiera del lavoro – Una volta “reclutate”, le persone vengono riunite. Nel febbraio 2022, per esempio, migliaia di uiguri sono stati portati a una “fiera del lavoro” accanto a un campo di internamento nel sud-ovest dello Xinjiang. Il video di un evento simile mostra le persone in file ordinate, che firmano contratti mentre vengono tenute sotto controllo da soggetti che appaiono come funzionari in tenuta militare. Molti trasferimenti avvengono in treno o in aereo. Le immagini mostrano uiguri con fiori rossi appuntati alle giacche – un simbolo comune di celebrazione – che salgono a bordo di voli della China Southern Airlines noleggiati dalle autorità dello Xinjiang. (La compagnia aerea non ha risposto alle richieste di commento).

Posti vacanti – A volte, i trasferimenti sono motivati dalla richiesta di manodopera. Nel marzo 2020, il Chishan Group, una delle principali aziende cinesi di prodotti ittici, ha pubblicato una newsletter interna in cui descriveva quella che definiva “l’enorme pressione produttiva” causata dalla pandemia. Nell’ottobre dello stesso anno, i funzionari di Partito del locale Dipartimento antiterrorismo presso l’ufficio di pubblica sicurezza e dell’ufficio risorse umane e sicurezza sociale, che si occupa dei trasferimenti di lavoratori, si sono incontrati due volte con i dirigenti per discutere come trovare manodopera aggiuntiva per l’azienda. Alcuni mesi dopo, Chishan ha accettato di accelerare i trasferimenti verso i propri stabilimenti. Wang Shanqiang, vice direttore generale di Chishan, ha dichiarato in una newsletter che “l’azienda si augura che i lavoratori immigrati dallo Xinjiang arrivino presto”. (Il Gruppo Chishan non ha risposto alle richieste di commento).

Gestione militare – Un annuncio rivolto agli imprenditori, pubblicato su un forum online cinese, assicura che, quando i lavoratori arriveranno, saranno tenuti sotto una “gestione di tipo semi-militare“. I video delle fabbriche di prodotti ittici mostrano che molti lavoratori dello Xinjiang vivono in dormitori. Secondo quanto emerge all’esterno, i lavoratori sono spesso tenuti sotto controllo da personale di sicurezza. Un lavoratore della provincia di Fujian ha raccontato a Bitter Winter, una rivista online, che i dormitori uiguri venivano spesso perquisiti; se veniva trovato un Corano, ha affermato, il proprietario rischiava campo di rieducazione. In una newsletter di Chishan del dicembre 2021, l’azienda elencava la gestione dei lavoratori migranti come una “rilevante” fonte di rischio; un’altra newsletter sottolinea l’importanza di sorvegliarli di notte e durante le vacanze, per prevenire “risse, disordini da ubriachezza e rivolte“.

Educazione patriottica – Per i lavoratori provenienti dalle zone rurali dello Xinjiang, la transizione può essere brusca. I nuovi lavoratori, spiega un’altra newsletter di Chishan, non sono soggetti a quote di produzione, per favorirne l’adattamento. Ma, dopo un mese, i funzionari della fabbrica iniziano a monitorare la loro produzione giornaliera per aumentare l'”entusiasmo”. In una fabbrica ci sono squadre speciali di manager responsabili di coloro che “non si adattano alla loro nuova vita”. A volte, i nuovi lavoratori uiguri vengono abbinati a quelli più anziani, incaricati di “monitorare lo stato d’animo dei nuovi lavoratori migranti”. Molti lavoratori dello Xinjiang sono sottoposti a “educazione patriottica“. Le immagini pubblicate da un’agenzia municipale mostrano i lavoratori delle minoranze dello Xinjiang alla Yantai Sanko Fisheries mentre studiano un discorso di Xi Jinping e apprendono la “politica etnica del partito”. (La Yantai Sanko non ha risposto alle richieste di commento).

La tortura della tigre – Nel tentativo di migliorare il morale, alcune grandi fabbriche forniscono mense separate e cibo uiguro ai lavoratori trasferiti. Di tanto in tanto organizzano feste con balli e musica. Le riprese realizzate all’interno di uno stabilimento mostrano degli uiguri che ballano nella mensa, circondati da guardie di sicurezza in uniforme. Diversi lavoratori di altri stabilimenti che sono sfuggiti ai programmi di trasferimento sono apertamente critici sul trattamento ricevuto. Un uiguro è stato rilasciato da un campo di rieducazione per essere trasferito in una fabbrica di abbigliamento: “Non avevamo altra scelta che andare lì”, ha dichiarato ad Amnesty International, nel rapporto 2021. Una donna dello Xinjiang, Gulzira Auelkhan, è stata costretta a lavorare in una fabbrica di guanti. Per aver pianto o per aver trascorso un paio di minuti in più in bagno, è stata punita con la “sedia della tigre”, che teneva bloccate le braccia e le gambe, una forma di tortura. “La prima volta ho passato dalle sei alle otto ore sulla sedia della tigre perché non seguivo le regole”, ha raccontato. “La polizia sosteneva che avevo problemi mentali e che non avevo il giusto approccio”.

Canzoni tristi – Gli uiguri ancora impiegati nelle fabbriche sono tenuti invece sotto stretto controllo, e uno delle poche vie per capire qualcosa della loro vita sono i loro post sui social media. Dopo essere arrivati nello Shandong, a volte si scattano selfie in riva al mare; lo Xinjiang è il luogo sulla terra più lontano dall’oceano. Alcuni postano canzoni uigure con testi malinconici. Solo strofe di musica sentimentale, forse. Ma alcuni ricercatori sostengono che possano servire a trasmettere messaggi nascosti di sofferenza, aggirando la censura cinese. Come ha concluso un’analisi del 2015, “i commenti e le critiche sui social sono velati da metafore, sarcasmo e riferimenti a detti e aspetti culturali tradizionali uiguri che solo un interno alla comunità o qualcuno che ha molta familiarità con la cultura e la comunità uigura potrebbe riconoscere”. Negli ultimi anni, la sorveglianza e la censura del governo sono aumentate.

Abbiamo un nemico – Un uiguro di mezza età, che ha poi lavorato in uno stabilimento di prodotti ittici dello Shandong, si è filmato seduto nella sala partenze di un aeroporto nel marzo del 2022 con sottofondo della canzone Kitermenghu (“Me ne andrò”), tagliandola proprio nella parte che, come sa chiunque la conosca, include il verso: “Ora abbiamo un nemico, dovete stare attenti”. Un altro lavoratore uiguro, che aveva parlato in modo entusiasta dei programmi nei resoconti dei media ufficiali, uno dei quali riportava una sua foto in riva al mare, ha postato la stessa immagine su Douyin insieme a una canzone che recita: “Perché c’è bisogno di soffrire ancora?”. Una giovane donna ha postato un selfie scattato davanti a uno stabilimento di prodotti ittici dello Shandong e ha aggiunto un brano di una canzone pop uigura: “Siamo abituati a soffrire così tanto”, dice il testo. “Sii paziente, cuore mio. Questi giorni passeranno”. Un carosello di immagini mostra gli operai che imballano i il pesce in scatole di cartone. Una voce fuori campo dice: “La gioia più grande della vita è sconfiggere un nemico che è molte volte più forte di te e che ti ha oppresso, discriminato e umiliato”.

Lo sventramento del pesce – In alcuni video, i lavoratori uiguri esprimono la loro infelicità in termini un po’ meno velati. Uno di loro ha postato un video in cui si riprende mentre sventra il pesce alla Yantai Longwin Food. “Pensi che ci sia amore nello Shandong?”, chiede la voce fuori campo. “C’è solo la sveglia alle cinque e mezza ogni mattina, il lavoro ininterrotto e l’infinita affilatura dei coltelli e lo sventramento del pesce”. (Yantai Longwin Food non ha risposto a una richiesta di commento). Un altro video mostra una linea di imballaggio del pesce accompagnato da un tipico suono di Douyin:
“Quanto ti pagano in un mese?”, chiede un uomo.
“Tremila”, risponde un secondo.
“Allora perché non sei ancora felice?”.
“Perché non ho scelta”.

Ispezioni flop – Le catene di approvvigionamento dei prodotti ittici sono notoriamente difficili da penetrare. Le organizzazioni internazionali e i giornalisti hanno un accesso molto limitato in Cina. Per scoprire e pratiche di lavoro forzato, le aziende tendono ad affidarsi a società che conducono “audit sociali”, i cui ispettori visitano una fabbrica per assicurarsi che sia conforme agli standard lavorativi del settore privato. Il problema, secondo Scott Nova, direttore esecutivo del Worker Rights Consortium, è che gli stessi ispettori e i metodi da loro seguiti non sono stati pensati per individuare il lavoro forzato imposto dallo Stato. La preparazione degli audit di solito richiede alle fabbriche di compilare questionari che rivelino la presenza di lavoratori migranti provenienti da altre province o dall’estero e le lingue parlate in loco, nonché di fornire agli auditor gli elenchi dei lavoratori, alcuni dei quali vengono selezionati per i colloqui. Ma le fabbriche che cercano di nascondere la presenza di lavoratori provenienti dallo Xinjiang spesso semplicemente non li elencano nei cosiddetti questionari di autovalutazione. Gli audit sociali sono in genere annunciati in anticipo, il che consente ai dirigenti di nascondere i lavoratori delle minoranze dello Xinjiang durante le ispezioni. Anche quando i lavoratori vengono intervistati, sono spesso riluttanti ad essere sinceri, per paura di essere puniti. Sarosh Kuruvilla, professore di relazioni industriali alla Cornell University, ha analizzato più di quarantamila audit in tutto il mondo e ha scoperto che quasi la metà non era affidabile. “È uno strumento completamente scassato“, afferma. “È un puro esercizio di spunta da parte del revisore, ma anche da parte del marchio”.

Lavoratori mascherati – Quest’anno, The Outlaw Ocean Project ha ingaggiato degli investigatori privati in Cina per ispezionare due grandi fabbriche di prodotti ittici nella provincia di Shandong, la Shandong Haidu e la Rongcheng Haibo, che insieme trattano circa il trenta per cento di tutti i calamari lavorati in Cina. In una di queste, un investigatore si è visto vietare l’ingresso nell’area di lavorazione. Ha girato un video dall’esterno, che mostrava lavoratori che indossavano uniformi bianche, che li coprivano interamente come i camici da chirurgo; i lineamenti erano nascosti da mascherine. Senza poter parlare con loro, era impossibile dire con certezza se qualcuno fosse uiguro.

Gli audit compiacenti – Gli audit a vuoto consentono alle aziende di affermare di essere conformi agli standard aziendali. Lund’s Fisheries, uno dei principali fornitori statunitensi di calamari che lavora con Haibo, richiede a tutti i suoi fornitori di completare gli audit ideati da Sedex, che produce il più diffuso manuale del settore. Nel maggio 2022, i revisori sociali di SGS, una delle principali società di revisione, hanno portato a termine un’ispezione alla Haibo e le aziende americane hanno continuato a importare i suoi prodotti. Tuttavia, quando i nostri giornalisti hanno indagato, hanno scoperto che più di 170 persone provenienti dallo Xinjiang lavoravano alla Haibo nel 2021 e una mezza dozzina di lavoratori uiguri hanno postato regolarmente su Douyin dalla fabbrica per tutto il 2022. Lo stesso giorno in cui gli auditor hanno compiuto la visita, una giovane lavoratrice uigura ha postato delle foto di se stessa vicino ai moli di carico dell’impianto e a quelli che sembrano essere i dormitori. (Wayne Reichle, presidente di Lund’s, ha dichiarato: “I nostri fornitori rispettano gli standard aziendali, che superano le normative statunitensi sulle importazioni”. Un portavoce ha dichiarato che l’azienda ha iniziato a indagare sulla questione). Alla Haidu, secondo una newsletter dell’azienda, è stata allestita una mensa speciale per servire i lavoratori migranti dello Xinjiang.

Negazionismi – Un rappresentante di SGS ha risposto che i revisori hanno fatto quanto richiesto dalla metodologia del Sedex. (Un rappresentante dell’impianto di Haibo ha dichiarato via e-mail che l’azienda “non ha mai impiegato lavoratori dello Xinjiang”. Un rappresentante dello stabilimento di Haibo ha dichiarato in un’e-mail che l’azienda “non ha mai impiegato lavoratori dello Xinjiang”. Un rappresentante dell’impianto di Haidu ha dichiarato: “Non vengono impiegati lavoratori illegali provenienti dallo Xinjiang o da altri Paesi, e di recente abbiamo superato gli audit sui diritti umani”). Questo fallimento dell’audit non è un caso isolato. L’indagine ha trovato altri esempi di lavoratori uiguri che hanno pubblicato video a poche settimane dagli audit. La metà degli esportatori cinesi identificati come legati al lavoro degli uiguri aveva superato gli audit delle principali società di controllo mondiali. Anche molte aziende certificate come sostenibili sono coinvolte. Tutti gli impianti di trasformazione del pescato che sono risultati utilizzatori del lavoro forzato dallo Xinjiang erano certificati dal Marine Stewardship Council. (Jo Miller, responsabile delle relazioni pubbliche dell’MSC, ha riconosciuto che l’organizzazione si basa su verifiche sociali, che hanno “limiti significativi”).

Inseguendo i pescherecci – Interpellati, i funzionari del Sedex hanno affermato che “potrebbe essere difficile e rischioso per i revisori stessi riconoscere esplicitamente il lavoro forzato imposto dallo Stato”, che “potrebbe essere stato coperto”. L’organizzazione ha dichiarato che aggiornerà le proprie linee guida in materia. I gruppi di difesa sostengono da tempo che gli audit sono inefficaci. Nel 2019, Human Rights Watch ha riferito che gli audit sociali non sono riusciti a individuare i casi dilaganti di abusi sessuali nell’industria dell’abbigliamento in Bangladesh, India e Pakistan. Tuttavia, il loro uso si sta espandendo. SGS ora commercializza anche un servizio di audit dei pescherecci, che operano in mare aperto, dove il monitoraggio regolare è estremamente difficile. “Gli audit e le certificazioni non hanno individuato il lavoro forzato nei siti di lavorazione dei prodotti ittici sulla terraferma”, ha dichiarato Johnny Hansen, della Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti. “Quindi come potrebbero essere più efficaci nell’identificarlo in mare?”.

Le importazioni in Europa – Il risultato delle mancate verifiche è che migliaia di tonnellate di prodotti ittici importati da fabbriche che utilizzano il lavoro forzato continuano a entrare nell’Unione Europea. La nostra indagine ha rivelato che almeno dieci impianti di lavorazione in Cina, implicati in crimini contro i diritti umani e del lavoro a terra e in mare, hanno esportato pesce in Europa e altrove negli ultimi anni. Questi prodotti si trovano sugli scaffali di punti vendita al dettaglio, come Lidl e Tesco, e sulle tavole imbandite da aziende fornitrici per la ristorazione, come Sysco, in tutta Europa e nel Regno Unito. (Un addetto stampa di Lidl ha dichiarato che avrebbe avviato un’indagine sulla propria catena di approvvigionamento. Un portavoce di Sysco ha affermato che il suo fornitore è stato sottoposto a controlli e ha negato di aver mai “ricevuto lavoratori nell’ambito di un programma di trasferimento di manodopera imposto dallo Stato”. L’ufficio stampa di Tesco ha rifiutato di commentare i legami del suo fornitore con uno stabilimento che utilizza lavoratori uiguri).

Le importazioni in Italia – Nomad Foods, una società britannico-americana, è un gigante dei prodotti ittici europei, con un fatturato di quasi 3 miliardi di dollari nel 2022. È la prima azienda europea di alimenti surgelati in termini di vendite nette. I suoi mercati principali sono Italia, Germania, Francia, Svezia, Austria e Regno Unito, elenca il rapporto annuale 2022, con il 70% del fatturato generato da questi sei Paesi. È l’azienda leader nel settore dei surgelati in sedici dei Paesi europei in cui opera.
Almeno due importatori di pesce bianco acquistano pollock (un tipo di merluzzo, ndr) e merluzzo da trasformatori cinesi che utilizzano il lavoro forzato degli uiguri e lo forniscono a Nomad Foods. Uno di questi importatori è la società britannica Unibond Seafood International, che acquista merluzzo e pollock da Qingdao Tianyuan, un impianto di lavorazione cinese che ha utilizzato il lavoro forzato degli uiguri dal 2018 e fino all’aprile 2023.

Un secondo fornitore di Nomad Foods, NorthSeafood Holland, ha importato carichi di pollock e sogliola dai fornitori Yantai Sanko Fisheries e Yantai Longwin Foods, che hanno ricevuto lavoratori uiguri nell’ambito di un programma governativo di trasferimento di manodopera rispettivamente dal 2019 e dal 2022, e almeno fino al 2023. Il codice dello stabilimento di NorthSeafood Holland compare sui prodotti Capitan Findus di Nomad Foods, disponibili presso Carrefour e Coop in Italia. L’esclusivo codice Marine Stewardship Council di Northseafood Holland compare anche sulle confezioni Findus destinate al mercato svedese.

Le aziende replicano – Un portavoce di Nomad Foods ha dichiarato di essere “impegnato ad adeguare continuamente le nostre politiche e i nostri approcci di due-diligence” e di voler avviare un’indagine. Unibond Commercial afferma che Qingdao Tianyuan ha un ruolo molto marginale nel loro approvvigionamento e che è “attualmente impegnata in un confronto con la fabbrica per capire meglio la questione”. Nina Yin, direttore generale di Qingdao Tianyuan, dichiara che “si oppone fermamente a qualsiasi forma di lavoro forzato” e di “non essere a conoscenza né di partecipare a progetti nazionali di trasferimento di manodopera o di riduzione della povertà”. In un’e-mail, un portavoce di Northseafood Holland afferma di aver “interrotto la collaborazione con l’impianto molti anni fa”, senza però rispondere a ulteriori richieste di chiarimento o di commento, e se l’e-mail si riferisse a Yantai Sanko o a Yantai Longwin. Yantai Sanko Fisheries e Yantai Longwin Foods non hanno risposto alle richieste di commento.

I cartellini dell’Ue – Dal 2010, l’Unione Europea utilizza un sistema di “cartellini” per sanzionare i Paesi che esportano prodotti ittici legati alla pesca illegale o ad altri reati. Un cartellino giallo serve come avvertimento e, se il Paese non prende provvedimenti in tempo, viene emesso un cartellino rosso, che vieta tutte le importazioni europee di pesce dal Paese. La Cina non ha mai ricevuto un cartellino giallo o rosso dall’Ue.Per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani, il Regno Unito, la Francia e la Germania hanno approvato leggi che cercano di premere sulle aziende affinché affrontino il tema i rischi di schiavitù nelle loro catene di approvvigionamento, ma al momento non esiste una legge a livello europeo che blocchi le importazioni di prodotti ittici legati al lavoro forzato.Nel 2015, il Regno Unito ha approvato la legge sulla “schiavitù moderna“, che richiede alle aziende di rendicontare le azioni intraprese contro il rischio schiavitù. Ma attivisti come Chloe Cranston di Anti-Slavery International affermano che la legge è debole perché non richiede alle aziende di intraprendere alcuna azione significativa oltre alla divulgazione degli sforzi già fatti. Anche Francia, Germania e Norvegia hanno recentemente approvato leggi che impongono alle grandi aziende di esercitare la “due diligence” verificando le violazioni dei diritti umani legate ai prodotti che vendono. Si tratta di norme incisive perché attribuiscono l’onere di individuare i problemi nella catena di approvvigionamento alle aziende che stanno alla fine della filiera. Consentono inoltre ai lavoratori di citare in giudizio le aziende che importano prodotti da aziende che commettono crimini sul fronte del lavoro. Nel giugno 2023, un gruppo per la difesa dei diritti con sede a Berlino ha citato in giudizio le case automobilistiche che importavano da fornitori dello Xinjiang, sostenendo che non avevano condotto valutazioni di due diligence sui loro fornitori, come richiesto dalla legge.

Gli Usa chiudono le frontiere – Negli Stati Uniti, l’Uflpa (Uyghur Forced Labor Protection Act) applica restrizioni all’importazione di beni prodotti nello Xinjiang e ha introdotto una presunzione legale secondo la quale tutti i beni “in tutto o in parte” provenienti dalla provincia derivano dal lavoro forzato imposto dallo Stato, ma nell’Unione Europea non esiste ancora nulla di simile. Gli accordi commerciali americani con il Canada e il Messico richiedono a questi altri Paesi di implementare i propri divieti all’importazione, paragonabili al regolamento statunitense Withhold Release Order, spiega Chloe Cranston di Anti-Slavery International. Il regolamento consente ai funzionari doganali di bloccare l’ingresso negli Stati Uniti di merci prodotte con il lavoro forzato.

L’Europa a rischio discarica – Nel tentativo di colmare le lacune nella regolamentazione delle merci importate, nell’Unione Europea sono stati recentemente introdotti due atti legislativi. Il primo, proposto nel febbraio 2022, è simile alla legislazione sulla “due diligence” in Francia, Germania e altri Paesi. Se approvato, imporrebbe alle grandi aziende degli Stati membri di valutare i rischi di lavoro forzato nelle catene di approvvigionamento. La seconda legge, proposta successivamente nello stesso anno, punta a “proibire l’ingresso nei Paesi membri di prodotti realizzati con il lavoro forzato”. La proposta è in fase di discussione e si applicherebbe ai prodotti legati a qualsiasi tipo di lavoro forzato, compresi, ma non solo, gli uiguri. Nell’Unione Europea c’è chi spinge affinché la legislazione includa una presunzione legale per le industrie in cui il lavoro forzato imposto dallo Stato è comune, che richieda alle aziende importatrici di dimostrare che i loro fornitori non utilizzano il lavoro forzato, e in caso di trovare fonti di approvvigionamento alternative. Per Cranston questa disposizione è fondamentale. “Senza una legislazione forte, l’Europa rischia di diventare una discarica per i prodotti del lavoro forzato degli uiguri”.

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