Ho immaginato un dialogo tra un venditore di pacchi e un viaggiatore confindustriale. Eccolo:

Viaggiatore Carlo: “Eh, caro signore, se sapremo mettere a fattor comune le mie straordinarie attitudini strategiche, affinate alla scuola di Confindustria, formatrice dell’élite imprenditoriale di color che sanno e possono ciò che vogliono, con la sua parlantina acchiappacitrulli (come dite voi del Granducato pre-industriale di Toscana) realizzeremo un’alleanza seria, edificatrice di un Terzo Polo capace di lanciare una merger & acquisition seria sull’intero mercatino delle pulci italiane di partito.”

Venditore Matteo:Oh illustrissimo sì certo. Così potremo prenderci una meritata rivincita su ‘sti buhaiòli che occupano le somme poltrone che son nostre di diritto.”

Carlo: “Certo è un mio diritto di nascita in quel dei Parioli, mica alla Garbatella. E poi io (e non loro) ho imparato a volare sulle ali dell’aquilotto che volteggia al quinto piano del cubo nero dell’Eur, in viale dell’Astronomia, cattedrale del mondo dell’impresa. Dove sono stato arruolato in Ferrari dall’Henry Ford del Terzo Millennio: il grande industriale Luca Cordero di Montezemolo. Quello sì uno serio.”

Matteo: [sottovoce: ne avesse combinata una che sia una giusta, il bellicapelli!]. “Certo è così. Ma anch’io sono andato a scuola di volatili; cotesto si sa: infatti ho imparato il mestiere di venditore di pacchi dal mio carissimo bis-bisnonno Chichibio, grande esperto di gru con una zampa sola. Ma tu come la canti bene, anche tenendo nel becco quel 3% di voti che, assommati ai miei, si moltiplicheranno fino a diventare maggioranza assoluta. Me li fai vedere?”.

Carlo: “Appena si saprà che abbiamo realizzato un accordo serio ci sarà la corsa degli abbienti a sostenere chi li difenderà dai poveracci, quelli che un tempo chiamavi “gli sfigati”: il vero orizzonte della futura sinistra tracciato dalla Terza Via. Così anche tu potrai entrare in una dimensione seria al mio fianco; e smetterla con la vendita dei pacchi. La vita bella non è quella che si conosce ma quella che non si conosce; non la vita passata ma quella futura.”

Matteo: “Come hai ragione mio adorabile Marchese del Grillo, ma lascia che ti liberi del pacchetto di voti che tieni in bocca, così potrai continuare meglio a dà perle a ‘sti maiali di sdentati, come li chiamava il mio collega d’allora, il presidente Hollande: impresa 4.0, flessibilità, rengineeringhe…”

Carlo: “Lascia stare l’inglese, che non è roba per te bensì per noi seri, nati col cucchiaio d’argento in bocca, frequentatori del Trinity e che disegnavamo scenari di successo per le nostre piccole imprese rampanti, anche se poi non ci davano troppo retta e trasferivano i capannoni in Romania, mica stavamo a pettinà ‘e bambole tra i magliari dell’Arno come er tu padre Tiziano.”

Matteo: sottovoce: [hovvia lascia sta’ mi’ padre, ché tu ce l’hai uno? Poi facciamo i conti caro il mio boccalone. Chi ‘unn ha cervello abbia gambe]. “Egregio il mi’ Carletto, come si dice in Toscana: a Marradi seminano fagioli e nascono ladri…”

Carlo: “Quanti anni son passati da che vendi pacchi? Oh che altra vita vorresti rifare? La vita che ho fatto io da grande manager o – tanto per parlare di cose poco serie – quella di un principe, magari con l’asciugamano a quadrettini bianchi e rossi attorno alla testa, tipo il tuo sponsor Mohammed bin Salman?”

Matteo: [sottovoce: fra mo’ te lo fo’ vedere io, manager del mì belliho]. “Ma come s’ha da dire? Come tu sei, bello e di successo: così vorrei ancor io se avessi a rivivere. Intanto ti conservo io il tuo pacchetto di voti nella sporta de’ mi’ pacchi. Così sarai più libero di andare alla vittoria elettorale dandoci la tu’ faccia. Io intanto ti copro le spalle: pacchi, pacchi nuovi, pacchi per tutti gli usi…”.

⁕ ⁕ ⁕

Qualche mese dopo Carletto Calenda si ritrovava senza più il suo gruppo parlamentare e continuava ad aggirarsi come un’anima in pena in quello schieramento di sinistra, che appariva non troppo “serio” ai suoi occhi confindustrial-pariolini. E aveva pure perduto qualche decina di chili, sgonfiando la panza pretenziosa da cumenda.

Ora Matteo Renzi – sempre più d’Arabia – si ritrova con quel gruppo parlamentare a cui non poteva ambire prima del dialogo leopardiano con Calenda. A conferma della sua ben nota natura di volpe da favoletta di La Fontaine: quella del corvo appollaiato su un albero tenendo nel becco non voti ma un bel pezzo di formaggio; che perderà quando la consigliera fraudolenta, dopo averne lodato il piumaggio, gli chiederà; “chissà che bella voce che hai”. E quello, spalancando il becco, farà cadere il boccone pregiato. Ma c’è anche un’altra storiella premonitrice della Prima Repubblica: la sorte di tutte le volpi – anche d’Arabia – è quella di finire in pellicceria.

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