Nikki Haley emergente. Ron DeSantis meglio che nel passato, ma comunque lontano dal convincere davvero. Tim Scott e soprattutto Vivek Ramaswamy in caduta libera. Chris Christie non pervenuto. Si potrebbe sintetizzare così il terzo dibattito televisivo tra i candidati repubblicani alla presidenza, tenutosi a Miami e moderato da Lester Holt e Kristen Welker. Politica estera, Cina, Tik Tok, Social Security, aborto: i candidati hanno discusso di questioni diverse, definendo in modo più chiaro i temi e il campo della politica repubblicana in vista delle presidenziali 2024. Su tutto, ancora una volta, ha dominato il candidato che non c’è. Donald Trump, come per i due dibattiti precedenti, ha preferito non confrontarsi con i rivali. Una scelta che, a guardare i sondaggi, sembra ancora una volta vincente.

Questi sono alcuni dei temi e dei momenti più significativi emersi dalla serata a Miami, soprattutto in vista dei prossimi sviluppi della campagna elettorale.

CHI HA VINTO Ci sono pochi dubbi su chi abbia offerto la performance migliore. Si tratta di Nikki Haley, l’ex governatrice del South Carolina. Haley, che è stata anche ambasciatrice USA alle Nazioni Unite durante la presidenza Trump, è risultata avvantaggiata dalla scelta della politica estera come tema centrale della serata. Quando i conduttori hanno chiesto ai candidati che cosa direbbero oggi a Benjamin Netanyahu, DeSantis ha risposto che gli “direbbe di eliminare Hamas”. Haley non ha avuto bisogno del condizionale. “Gli ho detto di farli fuori”, ha spiegato (implicito, quando era ambasciatrice all’ONU). Decisa, perentoria, Haley ha dipinto una politica estera americana “da falco”, molto diversa dall’“America First”. Ha detto che da presidente sosterrebbe l’Ucraina “fino in fondo”; che non esclude attacchi militari contro l’Iran; che gli Stati Uniti devono allinearsi a Israele in “tutto ciò di cui ha bisogno e ogni volta che ne ha bisogno”. Haley ha pronunciato anche la battuta decisiva della serata, quella che verrà ricordata. A Ramaswamy che le ha fatto notare che la figlia è su Tik Tok, mentre lei è per il suo bando sul territorio degli Stati Uniti, ha risposto: “Sei soltanto spazzatura”. Haley ha anche mostrato particolare prudenza in tema di aborto. A differenza dei suoi rivali repubblicani, ferocemente pro-vita, e consapevole di come la questione impatti le scelte elettorali di milioni di donne, Haley ha spiegato di non credere alla possibilità di un bando federale.

Se un esito di qualche valore politico la serata di Miami ha avuto, è dunque proprio questo. Delimitare il campo degli sfidanti repubblicani a Trump. Dei cinque presenti sul podio, Haley appare ormai quella meglio posizionata, con il profilo più chiaro e convincente, colei su cui diversi donatori repubblicani stanno puntando gli occhi nel caso Trump sia costretto a fare un passo indietro per i troppi problemi giudiziari. Accanto a Haley, si colloca Ron DeSantis. Il governatore della Florida, per la prima volta in modi così espliciti dall’inizio delle primarie, ha attaccato Trump per “quello che non ha fatto”. Dovrebbe spiegare “perché il Messico non ha pagato per il Muro”, ha osservato DeSantis. “Dovrebbe spiegare perché la sua amministrazione ha prodotto così tanto debito. E perché non è riuscito a ripulire lo stagno di Washington”. Ponendosi come unica vera alternativa all’ex presidente, DeSantis si è quindi presentato come il politico che “in Florida ha mostrato come vanno fatte le cose”. Rispetto ai due dibattiti precedenti, il governatore è sembrato più a suo agio. Ma la sua performance non cambia in modo significativo la dinamica di questa campagna. DeSantis resta il candidato che ha sollevato, e non mantenuto, molte promesse.

CHI HA PERSO A meno di clamorosi colpi di scena, il dibattito di Miami ha spento, forse definitivamente, le speranze di tre tra gli sfidanti ancora in corsa. Tim Scott, senatore del South Carolina (l’unico senatore repubblicano nero), non ha aggiunto gran che alle non indimenticabili apparizioni precedenti. Il suo tema centrale resta soprattutto uno: la necessità che l’America passi attraverso una fase di “rinnovamento spirituale” che la riporti ai valori dell’Occidente giudaico-cristiano. Più che per quello che ha detto, Scott alla fine si è fatto notare per la “fidanzata” con cui si è presentato al dibattito (il senatore, 58 anni, non è sposato e sulla sua vita privata si era addensato un mistero non molto in sintonia con i valori cristiani che proclama). Possibile che quello di Miami sia stato il suo ultimo dibattito e che Scott non abbia né i numeri dei sondaggi, né i finanziamenti, per essere ammesso al prossimo, il 6 dicembre. Stessa sorte per Chris Christie, ex governatore del New Jersey, che a Miami ha ancora una volta mostrato buone doti politiche e retoriche – dai temi della spesa sociale alla sfida con la Cina al bando a Tik Tok – ma su cui pesa una colpa per cui non esiste perdono. Essere il più anti-trumpiano tra i contendenti repubblicani. Anche nel terzo dibattito, Christie ha riaffermato che “una persona accusata di condotta criminale non può guidare questo Paese”. Considerati gli indici di popolarità di cui Trump gode tra gli elettori repubblicani, è altamente improbabile che questi decidano di votare Christie, nel caso Trump esca di scena. Peggio di tutti è però andata a Vivek Ramaswamy. Imprenditore senza forti radici nella politica repubblicana (la chairwoman del Republican National Committee, Ronna McDaniel, l’ha anche invitato ad abbandonare la corsa), Ramaswamy in queste elezioni ha cercato di interpretare la stessa parte recitata da Trump nel 2016: quella dell’outsider capace di svelare, con accuse e paradossi, l’assurdità della politica di Washington. A differenza di Trump, gli è però andata male. A Miami, con l’attacco alla figlia di Nikki Haley, si è guadagnato l’antipatia di milioni di genitori americani. E’ risultato poco simpatico quando ha ironizzato sulla statura di DeSantis, notando che il governatore della Florida indossa “calzature che sono degli ascensori”. E ha raggiunto il punto più basso quando ha definito il presidente ucraino Zelensky, che è ebreo, “un nazista”. Si è trattato di una girandola di affermazioni che non hanno sortito l’effetto voluto, quello della destabilizzazione degli altri candidati. Ramaswamy è apparso semplicemente spiacevole. Da Miami, probabilmente, inizia la sua discesa verso l’irrilevanza.

IL CANDIDATO CHE NON C’E’ Mentre i cinque repubblicani dibattevano a Miami, a pochi chilometri di distanza, a Hialeah, Donald Trump saliva sul podio di un comizio e si prendeva gioco dei rivali. “Visto come è andato il terzo dibattito, penso che non mi presenterò nemmeno al quarto”. Sinora la scelta di Trump di disertare ogni tipo di confronto con gli altri sfidanti è risultato vincente. Da un lato lo ha tenuto lontano da eventuali contestazioni, rafforzando il suo primato e la sua unicità. Dall’altro ha evitato possibili scivoloni che, nel clima acceso di un dibattito, sono possibili. La strategia ha, per l’appunto, funzionato. In Florida, Trump è avanti di 30 punti rispetto a DeSantis. Secondo FiveThirtyEight, che calcola la media dei sondaggi a livello nazionale, l’ex presidente è avanti di ben 43 punti sul suo più vicino rivale. In altre parole, questi dibattiti TV stanno facendo molto poco per cambiare la dinamica della campagna elettorale. Servono a stabilire chi viene “dopo Trump”, piuttosto che un suo possibile rivale. L’unica differenza, al momento, la possono fare i tribunali. Solo la giustizia, solo i quattro processi che pendono sul capo dell’ex presidente, sembrano in grado di fermarne la corsa irresistibile.

IL PUNTO DEBOLE DEI REPUBBLICANI Una serie di consultazioni elettorali, martedì scorso, hanno mostrato come l’aborto resti un tema di straordinaria rilevanza per molti elettori – e come questo favorisca i democratici, quando viene utilizzato come strumento primario della campagna elettorale. In Virginia i democratici, proprio grazie a una strategia fondata sulla difesa del diritto all’interruzione di gravidanza, hanno conquistato entrambe le Camere. I cittadini dell’Ohio hanno iscritto il diritto all’aborto nella Costituzione dello Stato. E il democratico Andy Beshear ha difeso la carica di governatore del Kentucky proprio insistendo sul tema. Sul palco di Miami, gli sfidanti repubblicani hanno mostrato più di un’incertezza. Le passate posizioni contrarie all’interruzione di gravidanza rischiano di alienargli settori consistenti di voto alle elezioni generali. E quindi i candidati si sono fatti più prudenti. DeSantis, per esempio, che ha firmato da governatore della Florida un bando all’aborto dopo le sei settimane, ha attenuato di molto la sua retorica, limitandosi a un generico “siamo persone migliori quando promuoviamo una cultura della vita”. Anche in questo, alla fine, Nikki Haley si è rivelata la più convincente. Pur dichiarandosi personalmente contraria all’aborto, ha anche detto di “non voler giudicare quelli che sono pro-choice”. Una posizione che, alla fine, potrebbe conquistare alla ex governatrice del South Carolina l’appoggio di settori considerevoli del voto femminile, soprattutto nei sobborghi urbani.

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