Essere palestinese non è un affare semplice. Si deve fare in conti con la mancanza di riconoscimento della tua stessa nazionalità. La Palestina – dicono – non esiste nella cartina geografica. Se c’è – continuano – deve essere un non Stato. Insieme a questa assenza geografica, c’è anche quella temporale: del passato. Si discute: ma i palestinesi riconosceranno mai Israele, il suo desiderio ad esistere? La domanda dovrebbe essere posta in altra maniera, specialmente quando la si pone a chi vive – sente di vivere – l’occupazione.

Se il governo israeliano – domanda corretta – riconoscesse che il fondamento dell’esistenza stessa di Israele poggia sulla distruzione della società palestinese, tu, allora, faresti la pace? Sì, è la probabile risposta. Perché, in questi 75 anni di soprusi, l’unica cosa che non si è mai vista – oltre alla pace stessa – è l’ammissione di colpa di Israele. Confessare l’errore. Basterebbe una volta, anche ora. Gridare ad alta voce: “E’ vero, abitavate qui e sullo smantellamento di quello che eravate abbiamo costruito chi siamo”. Invece no. E’ più facile chiedere ad un arabo, a un palestinese, di continuare a dissociarsi da colpe e crimini che non ha commesso.

“Devi mostrare di essere differente: di’ che non sei e che non supporti i terroristi” chiedono da Occidente. E la vittima, all’improvviso, si trasforma in carnefice immaginario: perennemente. Non è forse questo lo stigma che porta un palestinese? Non esser mai riconosciuta vittima ed essere, invece, dipinta come carnefici di tutti?

Poi, non possiamo capire il turbamento di un palestinese infelice. Per lui, parole come occupazione; lotta; terra; nazionalità e diritto al ritorno hanno un peso specifico incomprensibile, se non da chi ha perso la propria casa o terra ed è costretto all’esilio.

Un palestinese, infine, cerca la solidarietà araba, sempre. E sempre si scontra con la realtà di governi mercanti che usano la causa palestinese come feticcio per le loro agende. Tutti vogliono, nel mondo arabo, presentarsi come condottieri del diritto dei palestinesi. Tutti, ahimè, usano il sangue palestinese. Quel liquido rosso, acceso, che sporca case e terre – con ormai hanno nomi diversi – è il meno costoso.

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