Ce l’hanno fatta anche in Bangladesh ma non si accontentano. Dopo due settimane di scioperi e scontri (che hanno causato sinora 3 vittime), i lavoratori del settore tessile hanno ricevuto un’offerta di aumento immediato medio dei salari del 56%, da 70 a 105 euro al mese. Proposta rifiutata perché ben al di sotto della richiesta di alzarli fino a quasi 200 euro. Si tratta di lavoratori impiegati in aziende locali che producono per lo più per grandi marchi occidentali, da H&M e Gap a Zara e Levi’s oltre a molti altri. Gruppi che, anche grazie al basso costo del lavoro e a tutele ridotte, possono spingere i loro profitti. Il paese è oggi il secondo produttore la mondo di abbigliamento dopo la Cina, con esportazioni che superano i 50 miliardi di dollari. Alle prese con un’inflazione piuttosto sostenuta (ora intorno al 10%) i 4 milioni di addetti del comparto chiedono però ora un adeguamento delle buste paga per tenere il passo con il costo della vita in aumento. Nel paese asiatico sono presenti oltre 3mila fabbriche tessili, almeno 600 sono ora ferme a causa delle proteste in atto.

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Una sentenza boccia la discriminazione verso i dipendenti pubblici: la Pa è una risorsa, non una zavorra

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La Lega presenta ddl per consentire stipendi differenziati in base al costo della vita. Cgil e Pd: “Schiaffo al Sud che è già più povero”

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