di Stefano Briganti

Giorni fa leggo un articolo su Politico.eu, un giornale online che riporta i fatti che avvengono in Europa, che titola: “Con i Repubblicani [al Congresso Usa] che stanno mettendo in discussione il supporto per Kiev, i diplomatici europei vogliono mostrare che dare soldi per l’Ucraina è un buon business per gli americani”. Non è la prima notizia di questo genere, infatti dieci giorni prima, il 21 ottobre, Politico.com (Usa) scrive di una dichiarazione di Biden agli americani: “Noi inviamo armi in Ucraina dai nostri arsenali e usiamo i soldi approvati dal Congresso per reintegrarle. Le armi che difendono l’America sono fatte in America da fabbriche dislocate in 12 Stati. Questo porterà nuovi posti di lavoro in America”. Nel giro di dieci giorni l’ordine di modificare il messaggio da portare agli americani è partito da Washington, ha raggiunto l’Europa che si è immediatamente allineata. È infatti prevista una serie di viaggi di diplomatici europei negli Usa per sostenere il messaggio di Biden, volendo così dimostrare una inossidabile unità di pensiero tra le due sponde dell’Atlantico.

Dall’inizio del conflitto e fino alla controffensiva ucraina, la narrativa a supporto dell’invio delle armi a Kiev è sempre stata: “Dobbiamo armare ad oltranza l’Ucraina affinché sconfiggendo la Russia possa garantire al mondo libertà e sicurezza”. Stessa cosa si disse degli obiettivi della guerra economica, che lanciata dagli Usa trovò istantaneo consenso da parte dell’Europa. Oggi, a distanza di due anni, emerge una realtà che prima era considerata un’eresia per biechi figuri al soldo di Putin.

La Russia riesce a reggere economicamente, stringe i rapporti con i paesi a Est verso i quali affluiscono il gas e il petrolio che prima andavano in Europa, la macchina bellica russa non solo non è ferma ma riceverà un importante aumento di budget per il triennio 2024-2027. La guerra si prevede che sarà molto lunga (Budanov: oltre il 2026) e la posizione di forza da portare al tavolo negoziale che Kiev doveva guadagnarsi a suon di cannonate, è ormai uscita dai radar. La mappa che mostra il terreno conquistato da Kiev con la controffensiva rispetto a quello occupato dai russi è impietosa. Mettere soldi sul tavolo senza vedere risultati importanti dopo due anni e soprattutto senza un limite di tempo, diventa sempre più difficile negli Usa.

Così il mantra motivazionale dei primi giorni si arricchisce di una nuova voce: “The war is a good business for America”. Politicamente per Washington è una buona mossa. Per gli americani il business è tutto, un idolo, un moloch e per chi li governa, come per tanti altri, vale il motto “pecunia non olet”; neppure di sangue. Basti pensare che, nonostante le periodiche stragi di civili, le lobbies delle armi Usa hanno impedito a qualsiasi presidente di promulgare leggi che limitassero il possesso di armi private (nel 2022 erano 393 milioni per 330 milioni di abitanti, fonte Cnn). Quella di battere sul tasto del business è una buona strategia in vista delle elezioni e in considerazione del fatto che il 55% degli americani è contrario ad altri invii di armi (WP, settembre 2023).

Anche per l’Europa l’endorsement senza riserve al nuovo messaggio di Biden è politicamente valido. Sa bene che se gli Usa riducessero il volume di armi, chiederebbero all’Europa di compensarlo e questo l’Europa non può permetterselo. L’incremento della produzione di armi in Europa necessita di tempo e di fondi e la stessa cosa vale, a maggior ragione, per la produzione di armi in Ucraina da parte di aziende europee. Vedere le motivazioni che mutano per asservire obiettivi politici e sentir dire pubblicamente che la guerra è un “good business”, per il quale però muoiono migliaia di persone, è rivoltante ma è comprensibile perché la politica non ha né morale e né etica. Trovo invece che sia intollerabile che coloro che affermano questo, siano gli stessi che puntano l’indice a condannare la mancanza di morale nel governo di altri paesi.

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