La soluzione finale al problema di Gaza? Sfollare i 2.3 milioni di abitanti nel Sinai egiziano. A proporre questa soluzione sarebbe stato il ministero dell’intelligence israeliano, che avrebbe portato il documento sul tavolo del primo ministro Benjamin Netanyahu. La notizia non l’ha diffusa un media arabo, ma israeliano. Messo alle strette dall’Associated Press, un portavoce dell’ufficio del primo ministro ha detto che questo genere di documenti sono comuni e non vincolanti. Una prassi, insomma, che a volte può sfociare nel pianificare lo spostamento di massa di una intera popolazione. Con la speranza poi che questi, una volta condotti nel deserto egiziano, si accampino in tendopoli e – aiutati? – costruiscano vere e proprie città dove ripartire da zero. Il ritorno a Gaza? Impossibile: basta creare un cuscinetto e non far passare nessuno, come si legge nel documento.

Il tono con cui il governo israeliano ha minimizzato il contenuto del documento è da manuale. Non lo è, invece, pensare che uno Stato che si definisce “unica democrazia” in Medioriente, come anche sostenuto dai suoi simpatizzanti in giro per il mondo, possa anche solo partorire una tale proposta. Perché questo è il nodo della questione. Nonostante non sia – ancora – stato attuato, un tale piano è stato comunque preso in considerazione e messo sul tavolo. E se oggi Israele rischia una incriminazione per crimini contro l’umanità, a causa dei bombardamenti indiscriminati, potrebbe rischiare qualcosa d’altro nel caso in cui il documento avesse una attuazione concreta. Ma tanto i palestinesi ci sono abituati: a lasciare le loro case, ovviamente.

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