Mentre migliaia di riservisti dell’esercito israeliano – come già segnalato dal Fatto Quotidiano il 16 ottobre scorso – sono già tornati dall’estero per rispondere alla mobilitazione ordinata da Tel Aviv in reazione all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, i figli del premier restano al sicuro. È l’accusa che monta in Israele ormai da settimane – e rimbalza sui media internazionali – contro Yair Netanyahu, 32 anni, figlio ed erede di Benyamin Netanyahu.

Yair non è nuovo a controversie di ogni genere: sia per le sue dichiarazioni improntate agli slogan della destra nazionalista più estrema, siaper lo stile di vita. Spedito in Florida da papà Bibi e mamma Sara fin da aprile, dopo aver contribuito nei mesi scorsi ad alimentare con dichiarazioni incendiarie la protesta di tanti israeliani contro il governo guidato dal padre, Yair ha da allora fatto quasi perdere le tracce. Messo di fatto a tacere dalla famiglia e sottratto alle denunce per diffamazione ricevute.

Dopo l’esplosione del conflitto l’attenzione è tornata a concentrarsi su di lui: sul rampollo che non aveva esitato a bollare alla stregua di “terroristi” i compatrioti scesi in piazza contro suo padre. Salvo restare al di là dell’Oceano nel momento della “dichiarazione di guerra al terrorismo di Hamas”. Un comportamento che molti compagni d’arme più o meno coetanei sparsi in giro per il mondo non riescono proprio a mandar giù. Tanto meno in un Paese in cui la leva militare obbligatoria è di tre anni per i maschi e di due per le femmine (religiosi ortodossi a parte). L’apparizione del delfino il 17 ottobre a Fort Lauderdale per un evento di raccolta di aiuti alle famiglie ebraiche colpite dagli attacchi di Hamas e ai soldati non è bastato del resto a placare le acque.

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