Un errore politico grave quello del governo, al quale con una battuta – ricordando il film di Tim Burton – darei il nome di “Edward mani di forbice”. In sanità ormai siamo al doppio taglio: sui finanziamenti al sistema e sulle pensioni dei suoi operatori.

Passi il primo anche se esecrabile, ma sul secondo Giorgia Meloni dovrà tornare indietro esattamente come ha fatto per bloccare il prelievo sui conti correnti, se non vorrà avere contro tutti gli operatori della sanità. Ormai si parla di sciopero.

Il doppio taglio in sanità è inaccettabile. E’ davvero un brutto segnale politico che annulla di colpo tutte le dichiarazioni del governo sulla difesa di principio della sanità pubblica. Ma quale difesa? Meloni, alla sanità, ha dato la solita mollichella con la quale, come ho scritto nel precedente post, non riuscirà neanche a coprire gli aumenti dell’inflazione agli operatori. Ma aggiunge la beffa: quei quattro soldi previsti per i contratti vengono tolti abbassando le pensioni e togliendo molto più di quello che viene dato.

Attaccando infatti i diritti acquisiti degli operatori, il governo riduce le aliquote di rendimento dei contributi versati prima del 1996 colpendo quasi il 50% del personale attualmente in servizio con una perdita stimabile tra il 5% e il 25% dell’assegno pensionistico annuale, da moltiplicare per l’aspettativa di vita media. Il significato politico, a parte l’attacco ai diritti acquisiti di chi lavora in sanità, è a dir poco cinico se non apertamente di disprezzo nei confronti di questo settore.

Il principale capitale della sanità è il lavoro professionale. Se questo valore è attaccato bloccando le assunzioni per esempio (il turn over è stato bloccato per più di 10 anni) e riducendo le pensioni, vuol dire che il governo vuole spingere i lavoratori della sanità ad andare verso il privato, cioè verso trattamenti retributivi e trattamenti pensionistici migliori.

Il fenomeno degli operatori che abbandonano la sanità pubblica ormai è un processo in corso. Sono anni che si parla di “grande fuga” soprattutto dagli ospedali. Dal 2019 al 2021 (studio Anaao) hanno abbandonato l’ospedale 8.000 camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%. Ma in tutta Europa gli operatori sanitari sono sempre più in crisi: poco pagati, stressati e sempre più vecchi. L’Oms ha approvato la Carta di Bucarest con la quale ci dice molto chiaramente che bisogna “Intervenire subito o la sanità andrà in tilt”.

Davanti a questi dati servirebbe procedere alla rapida stabilizzazione del precariato e servirebbero un cambiamento profondo nella formazione post-laurea, una radicale qualificazione del mercato del lavoro ma soprattutto assumere operatori. Ma la risposta del governo va esattamente nella direzione contraria. Perché?

E’ del tutto evidente che se il capitale più importante della sanità viene decapitalizzato, cioè viene trasformato nel suo contrario – un costo strutturale considerato a priori insostenibile rispetto alle compatibilità finanziarie – per la sanità pubblica non c’è futuro.

L’unico futuro è quello dei medici che prestano la propria opera su chiamata delle strutture sanitarie pubbliche e vengono remunerati in proporzione alle presenze. Cioè l’unico futuro è la sanità dei gettonisti, quelli che in tre turni di lavoro guadagnano quanto un medico di ruolo in un mese intero. Ma se la sanità diventa quella dei gettonisti che sanità avremo?

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