C’è Milan-Juventus di sera: è il posticipo di Tele+ 2, allora di domenica pomeriggio tocca vincere a Udine, che dopo una sola vittoria in cinque partite le altre scappano e i sogni di gloria pure. Ma le cose non funzionano bene: fare gol in quella stagione pare diventata un’impresa colossale con Bergkamp che non carbura, serve inventarseli i gol. E a Udine se lo deve inventare Ruben Sosa, col sinistro che ha: incrociando un passaggio innocuo e tirando una bomba sul secondo palo che fulmina Caniato. Poi più nulla, ma va bene così: si torna ad Appiano con i due punti in saccoccia. Altri due punti targati Ruben Sosa Ardaìz, interista quasi per caso, lusso dell’era pellegriniana, lussuosa eventuale pedina di scambio per ancor più lussuosi sogni di mercato e invece essenziale per la causa nerazzurra.

Nativo di Montevideo, quartiere Piedra Blanca, un barrio povero in una famiglia che povera non è ma neppure ricca: sono undici figli, e naturalmente i maschi giocano a pallone per strada. Rischia di non giocarci più il piccolo Ruben quando il fratello va a prendere il pallone finito oltre un muro: “Occhio che arriva” gli grida, e Ruben decide di andare di testa…solo che per scherzo suo fratello al posto della palla aveva tirato un mattone dall’altra parte. Finisce in ospedale, ma la testa è dura. E così a cinque anni e con un sinistro che già fa stropicciare gli occhi entra a far parte del “Potencia”: una squadra di quartiere. Una categoria per i bimbi di cinque anni non c’è, allora Ruben gioca con quelli di sette: in cambio gli danno hot dog. Lo notano quelli del Danubio: a 14 anni è già pronto a debuttare, a 16 è titolare.

In una gara contro l’Huracan Buceo c’è un osservatore del Saragozza, come spesso accade è lì per guardare altri giocatori ma Sosa segna tre gol: dopo qualche giorno è già in Spagna. L’inizio non è semplice: gli allenamenti sono molto più duri rispetto a quelli in Uruguay, ma dopo qualche mese Ruben è pronto: segna 8 gol in campionato e altri 10 tra Copa del Rey e Copa de la Liga. È suo l’unico gol nella finale vittoriosa di Copa del Rey contro il Barcellona. Ed è anche tra i calciatori della nazionale uruguayana che vincono la Coppa America in Argentina nel 1987.
Diventa “El Principito”, entra nella scuderia di Paco Casal, e intanto ha gli occhi addosso di uno che di gemme ne ha scoperte tante: Carlo Regalia, all’epoca alla Lazio. A Regalia il nome di Sosa l’aveva sussurrato Juan Alberto Schiaffino: “Prendilo, questo qui è forte davvero”. La spesa per Calleri nel 1988 non è neppure trascendentale: due miliardi e duecento milioni per portarlo alla corte di Beppe Materazzi in una squadra neopromossa.

Con un carattere solare e divertente coi compagni, una disponibilità totale nei confronti dei tifosi biancazzurri e soprattutto un sinistro meraviglioso, Ruben diventa un vero e proprio idolo per i tifosi biancocelesti. Segna 12 gol nella prima stagione, 8 nella seconda e si consacra poi con Dino Zoff, segnando 27 gol (di cui 3 nel derby) in due stagioni. E’ impegnato anche in politica: presterà il volto per la campagna elettorale del “Frente Amplio”, la coalizione di sinistra. Lo vorrebbe il Real Madrid, ma la Lazio chiede troppo e allora l’offerta buona è quella dell’Inter di Pellegrini: finita l’era dei tedeschi i nerazzurri puntano sulla scarpa d’oro Darko Pancev e poi su Totò Schillaci…ma Sosa è un’ottima occasione essendo anche in scadenza di contratto. Roma gli piace, il coro “E Ruben Ruben Ruben Sosa” resterà un evergreen, ma l’Inter è un’opportunità.

Eppure è un’avventura che parte in sordina, anche per via della…grafologia. Già, perché Ruben firma un autografo per la figlia del patron Pellegrini e la mamma, grafologa, analizzando i tratti della firma pone seri dubbi sul carattere dell’attaccante, sulle possibilità di un suo successo all’Inter. Ruben allora azzarda: “Presidente, se faccio 20 gol mi dà quel che chiedo, altrimenti fa lei la cifra”. A 20 gol Ruben non ci era mai arrivato in carriera…ne farà 22 con l’Inter di Bagnoli: punizioni, rigori, doppiette, tiri da fuori. I suoi gol sono decisivi per il secondo posto dell’Inter dietro all’oggettivamente imprendibile Milan di Capello.

Ancora una volta non basta però: già preso Bergkamp, Pellegrini punta il bersaglio grosso, Gabriel Omar Batistuta, anche a causa della retrocessione della Fiorentina. Ma la richiesta di Cecchi Gori è altissima: “Ok, 12 miliardi di lire e Ruben Sosa e Bati è vostro”. Ma è troppo. E allora Sosa resta, e pure in questa stagione, ben più difficile della precedente tocca a lui portare avanti la baracca: 16 gol in campionato, in un Inter che incredibilmente arriva 13esima, uno nella Coppa Uefa vinta contro il Salisburgo in finale. Unico trofeo nella storia italiana di Ruben Sosa assieme a un altro riconoscimento seppur non dello stesso valore: nell’edizione dell’album Panini 199394 viene chiesto ai collezionisti di votare il campione più simpatico, premio che sarà vinto da Ruben Sosa, davanti a Baggio e Gullit.

Intanto ancora una volta nel ’94 sembra in lista di sbarco ma resta, al netto di una condizione fisica ormai precaria, con un ginocchio malandato Sosa segna 11 gol, tra cui uno al Milan nel Derby. Passa al Borussia Dortmund, tormentato dagli infortuni non gioca una grande stagione ma partecipa comunque alla vittoria della Bundesliga. Torna in Spagna, sponda Logrones, per poi tornare in Uruguay nella squadra di cui è stato sempre tifoso, il Nacional Montevideo, dove gioca per 7 anni salvo una parentesi in Cina, segnando 27 gol e vincendo tre campionati. Oggi collabora col Nacional e ha una scuola calcio dal nome emblematico “Alegria”: nel repertorio dei consigli quello su come tirare in porta come lui…beh quasi.

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