Cattivissimo lui. Ovvero Javier Bordalás, nemico pubblico numero uno del calcio spagnolo. O meglio, della nutrita fazione dei giochisti, opposti in una querelle tanto radicata quanto ormai stucchevole con i risultatisti. Ne sappiamo qualcosa anche in Italia, basta seguire un dibattito qualsiasi su Massimiliano Allegri, Josè Mourinho, Roberto De Zerbi o Vincenzo Italiano. In Spagna invece nessuno è più polarizzante di Bordalás, tecnico di un Getafe portato nel quinquennio 2016-2021 dalla Segunda Division al miglior piazzamento della sua storia (quinto posto) nella Liga e agli ottavi di Europa League, per poi tornare a sedersi sulla panchina degli Azulones lo scorso aprile, a sette giornate dalla fine del campionato con la squadra sul fondo della classifica, e condurli alla salvezza.

Risultati indiscutibili ma metodi fonte di continue polemiche. Qualche esempio: “Capisco che di fronte a squadre così la gente non guardi più il calcio” (il tecnico del Barcellona Xavi); “E’ semplicemente imbarazzante il suo non-gioco che si basa solo sull’ostruzionismo e sulla perdita di tempo” (Frenkie de Jong, centrocampista del Barça); “Bordalás, stai distruggendo il calcio” (Rafa Benitez, allenatore del Celta Vigo). La rabbia dei blaugrana deriva dallo 0-0 strappato con i denti e le unghie al Coliseum Alfonso Pérez alla prima di campionato, mentre contro il Celta è arrivato un 2-2 con il Getafe in dieci dalla mezzora del primo tempo (e con nove giocatori finiti sul taccuino dell’arbitro). Ma anche al Santiago Bernabeu è stato necessario un gol al 95’ di Bellingham per piegare la resistenza di questa squadra dell’area metropolitana a sud di Madrid.

I numeri parlano chiaro: nella Liga il Getafe è ultimo per possesso palla (media del 36.3%) e per precisione nei passaggi (67.4%), mentre domina nella classifica dei lanci lunghi (23.4%), dei falli commessi (18.8 ogni 90 minuti) e dei cartellini gialli (4.6 a partita, quasi il doppio della media – 2.4 – della Liga). Primati, questi ultimi, già detenuti da Bordalás nel suo primo periodo al Getafe (dove ha battuto anche il record della più bassa media di tempo effettivo nelle partite della propria squadra: 48.08 minuti), così come nella sua prima e unica stagione con il Valencia nel 2021-22.

Una volta Mourinho disse che se lui guidasse un’utilitaria e si trovasse di fronte a un avversario con la Ferrari, dovrebbe rompergli il volante o buttargli sabbia nel motore per potersela cavare. Questo è ciò che fanno le squadre di Bordalás, con un approccio ai limiti del regolamento, a volte anche oltre. Lo sa bene il difensore uruguagio Damián Suárez, al Getafe dal 2015, con un curriculum di 114 cartellini gialli e 7 rossi in 316 partite della Liga. Dopo il citato match contro il Barcellona, ha ammesso senza problemi davanti ai microfoni che generare irritazione e frustrazione negli avversari, rallentando e spezzettando la partita con ogni mezzo, è parte integrante della strategia di gioco predisposta dallo staff tecnico. “Il mio compito primario era disturbare Lewandowski”. Un compito svolto attraverso un campionario di spinte, trattenute, calci e colpetti vari che hanno trasformato la partita dell’attaccante polacco in novanta minuti di sofferenza, ben visibile dalle espressioni sul suo volto. Una strategia del disturbo studiata in maniera meticolosa che ha portato ai giocatori del Getafe 46 cartellini gialli e tre rossi nelle prime dieci giornate della Liga. Nella stagione 2019/20 Bordalás stabilì il proprio primato personale chiudendo con 132 gialli e sette rossi. La media per ritoccare questo record è decisamente buona.

Il Getafe è una macchina da guerra che ha nella fisicità e nella compattezza le sue armi migliori. Javier Vidal, il preparatore atletico che segue Bordalás ovunque, ha spiegato come il lavoro del tecnico debba essere osservato da un’altra angolazione. “E’ un pioniere di un certo modo di giocare”, ha detto. “Il calcio è fatto di tecnica e tattica, mentre gli aspetti fisici e mentali – egualmente fondamentali – non hanno mai ricevuto la stessa attenzione. Il nostro allenatore è il numero uno al mondo in questi due ambiti”. Vidal è uno che non lascia scampo: le sessioni di allenamento al Getafe possono durare anche tre ore, i giocatori percorrono in media dai 35 ai 40 chilometri a settimana e vengono pesati quotidianamente. Non sono ammesse pause, “perché in gara non possiamo permetterci di rilassarci o di riposarci”.

Il quotidiano Marca una volta ha scritto che il calcio di Bordalás è la proiezione della sua storia personale, fatta di sacrifici, delusioni e tantissimo duro lavoro. Nato nella città costiera di Alicante, aveva nove tra fratelli e sorelle e fin da ragazzino ha dovuto impegnarsi per aiutare la famiglia, raccogliendo meloni e consegnando giornali. Il suo idolo calcistico era Johan Cruijff, ma il sogno di emulare le gesta del fuoriclasse olandese del Barcellona si era progressivamente sgonfiato quando, dopo l’ingresso nelle giovanili dell’Hercules di Alicante, la sua carriera non era mai decollata, con tantissima panchina e la decisione, a 29 anni, di appendere gli scarpini al chiodo e diventare allenatore. Tantissima la gavetta nelle divisioni inferiori prima dell’approdo, nel 2016 dopo 14 panchine cambiate in 23 anni, al Getafe, che lo aveva ingaggiato dopo che Bordalás aveva riportato l’Alavés nella Liga vincendo la Segunda Division.

Una cosa che fa arrabbiare Bordalás è definire anticalcio la sua proposta. “Il Getafe è un modello”, ha dichiarato lo scorso agosto al portale sportivo Relevo, “perché si tratta di un club modesto che riesce a sopravvivere in una delle competizioni più forti al mondo a dispetto di un budget tra i più bassi della categoria”. Nella Liga attuale gli Azulones sono 11esimi per payroll (28.45 milioni complessivi) e 13esimi per valore di mercato della rosa (108 milioni, dato Transfermarkt). “Credo ci sia sempre qualcosa da imparare dalle squadre che fanno bene. Quello che sta facendo il Getafe è una benedizione per il calcio e ci riempie di orgoglio. Lo stile di gioco è una questione di gusti. Secondo me il Getafe gioca molto bene in relazione ai mezzi a disposizione, e quindi lo reputo un esempio. Come per me lo è stato Cruijff, da giocatore e da allenatore. Non sono un tecnico difensivo, come spesso è stato detto. Sono un cruijffiano. Del resto, la conoscete tutti la sua massima sui soldi che non fanno gol, no?”.

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