L’ennesima riforma del sistema pensionistico italiano attualmente in discussione nel governo tradisce tutte le irresponsabili promesse elettorali e fatte in precedenza. I problemi di sostenibilità dei sistemi pensionistici sono o dovrebbero essere perfettamente noti a tutti, ma il miraggio di soluzioni impossibili è duro a morire. Le pensioni costituiscono un problema in tutti i paesi avanzati, in Italia più grave che altrove. Provo in questo post a riassumere la questione in forma il più possibile semplificata; chiaramente un economista potrebbe farlo in modo più accurato e preciso, ma i punti salienti sarebbero sostanzialmente invariati.

1) Il primo problema è dato dalla denatalità. In Italia negli anni ’50 e ’60 nascevano oltre 900 mila bambini ogni anno, con un picco di oltre un milione nel 1964. Successivamente la natalità ha subito un calo costante per stabilizzarsi intorno a 550 mila nel periodo 1980-2000, ed è attualmente di nuovo in calo con un minimo di meno di 400 mila nuovi nati nel 2022. Questo significa che, assumendo una vita lavorativa media di 40 anni con inizio a 25 e pensionamento a 65, nel 2023 andranno mediamente in pensione i lavoratori della coorte 1958 (che contava oltre 870 mila nuovi nati), mentre entreranno nel mondo del lavoro i membri della coorte 1998 (che contava meno di 532 mila nuovi nati). Poiché anche col metodo di calcolo contributivo le pensioni sono pagate con i versamenti all’Inps dei lavoratori in servizio e non è stato fatto un accumulo dei contributi versati da ciascuno, un numero decrescente di lavoratori ha e avrà a carico un numero crescente di pensionati.

2) Il secondo problema è dato dall’aumento dell’aspettativa di vita, fattore certamente desiderabile, ma capace di minare la sostenibilità del sistema pensionistico. Riprendendo l’ipotesi precedente, e assumendo che una aspettativa di vita media di 85 anni, un lavoratore che va in pensione a 65 anni gode di venti anni di pensione a fronte di quaranta anni di vita lavorativa. Se le coorti fossero tutte ugualmente numerose, e se il tasso di occupazione fosse costante, il numero dei pensionati sarebbe pari alla metà del numero di lavoratori. A causa della denatalità e delle variazioni del tasso di occupazione, il rapporto reale tra pensionati e lavoratori è invece alquanto inferiore. Ci sono in Italia 23 milioni di lavoratori che sostengono i quasi 18 milioni di pensioni erogate dall’Inps. Ovviamente questo dato è falsato dal lavoro nero, condizione nella quale la persona non solo non rientra tra i lavoratori e non contribuisce versamenti pensionistici all’Inps, ma potrebbe addirittura essere titolare di una pensione di tipo assistenziale.

3) In passato sono state erogate pensioni precoci (cosiddette pensioni baby) per motivi di clientelismo politico. Questa pratica scorretta è stata ridotta dalla legge Fornero, sebbene la sua piena applicazione sia stata a lungo rimandata. L’effetto delle pensioni precoci è ovviamente quello di aumentare il rapporto tra pensionati e lavoratori.

4) Anche col calcolo contributivo le pensioni italiane sono alquanto elevate in rapporto a quanto versato: in quasi tutti i paesi europei confinanti e vicini il calcolo dell’ammontare della pensione in rapporto al reddito da lavoro è meno favorevole che in Italia. Il tasso di sostituzione netto in Italia è del 91% a fronte di una media europea del 63%.

5) In Italia l’Inps si fa carico non soltanto delle pensioni previdenziali, ma anche di quelle assistenziali, per le quali nessun contributo è stato versato. Questo complica notevolmente l’analisi del problema ed il confronto con paesi che meglio di noi separano assistenza e previdenza, anche se in un sistema economico complessivamente non sostenibile ha un peso relativo: se l’assistenza fosse a carico di un ente diverso dall’Inps il debito pubblico accumulato di anno in anno sarebbe lo stesso, mentre varierebbe il rapporto tra i versamenti Irpef e i versamenti pensionistici.

Come conseguenza dei fattori menzionati sopra la spesa pensionistica italiana in rapporto al Pil è la seconda più alta in Europa, preceduta soltanto da quella della Grecia (15,8% a fronte di una media europea del 12,7%). Ovviamente il sistema Inps non si auto-mantiene: i versamenti pensionistici dei lavoratori non coprono le pensioni erogate, e l’Inps accumula un debito che viene trasferito sul debito pubblico dello stato, sempre crescente. Soluzioni? Il primo fattore è politico: occorre spiegare agli elettori la situazione drammatica in cui si trova il paese, anziché illuderli con promesse impossibili. Poi si dovrà cercare di incrementare il numero di lavoratori con politiche che facilitino l’inserimento lavorativo, aumentare l’età della pensione e contenere l’ammontare della pensione stessa, almeno nel caso delle pensioni più elevate.

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