Alla fiera di Francoforte nello stand del mio editore americano, Seven Stories Press, è stato appesa accanto al poster del mio nuovo libro la seguente scritta “Palestinians won’t be silenced”, i palestinesi non saranno azzittiti. Una frase coraggiosa, ma prevedibile, da quasi quaranta anni Seven Stories Press difende i diritti umani a prescindere dal colore della pelle o del credo religioso e da quasi quarant’anni è considerato un faro della libertà di parola non solo in America ma nel mondo, con al suo attivo autori che hanno vinto centinai di premi incluso il Nobel. Il fondatore di Seven Stories Press è ebreo, proviene da una famiglia con ferite esistenziali legate all’appartenenza alla religione ed etnia giudaica, ma questa eredità non lo ha accecato, al contrario, gli offre un’immagine di grand’angolo della questione palestinese.

Negli Stati Uniti e nel mondo l’ennesima guerra in Terrasanta sta confermando l’evoluzione di una realtà dicotomica all’interno degli squilibri geopolitici attuali. La narrativa occidentale, nostalgica degli anni d’oro della guerra fredda, promuove la favola del buono e del cattivo. A facilitare questa analisi il terrorismo, onnipresente ormai in qualsiasi conflitto. Dall’11 settembre, con la parola terrorismo si descrive qualsiasi nemico. Si badi bene, l’attacco di Hamas in Israele è stato un attacco terrorista, ma la storia del conflitto palestinese è piena di assalti terroristi, piena di vittime innocenti, di civili saltati in aria. Lo strumento di lotta utilizzato dal Dopoguerra fino ad oggi è stato il terrorismo. In questa storia non ci sono terroristi ‘buoni’, come qualcuno ha suggerito negli interminabili talk show dei giornalisti che si credono esperti in materia, e terroristi ‘cattivi’, ci sono solo terroristi. Creare una scala di atrocità è pericolosissimo, per ovvi motivi, si rischia di finire per accettare quelle minori.

Ciò che è cambiato oggi è l’identificazione di un popolo con il terrorismo esattamente come è avvenuto con la guerra in Ucraina, tutto ciò che ò palestinese o russo viene cancellato, concerti, premi a scrittori, la stessa cultura di questi popoli è considerata terrorista.

Che la dicotomia buono/cattivo venisse entusiasticamente abbracciata dai media era prevedibile, non esiste niente di meglio per i media di presentarsi come il portavoce della verità. Naturalmente ciò significa prendere posizione. Ma che questa presa di posizione si allargasse a tutte le istituzioni e finisse per azzittire tutte le voci che cantano fuori dal coro, non era né prevedibile, né auspicabile. Nelle ultime due settimane molti donatori di istituzioni accademiche dove gli studenti hanno protestato contro l’assedio di Israele a Gaza che ha privato la popolazione di luce, acqua, cibo e gasolio, ed a favore dei palestinesi, si badi bene palestinesi non di Hamas, hanno ritirato i generosissimi assegni che ogni anno regalano al mondo accademico statunitense. Alcuni filantropi hanno chiesto la schedatura dei partecipanti alle proteste contro il trattamento disumano degli abitanti di Gaza per evitare che questi studenti vengano assunti dalle loro fondazioni ed imprese. Ci si aspetta dagli studenti la stessa denuncia pubblicizzata dalle università contro gli atti terroristici di Hamas, emblema del popolo palestinese, senza menzionare la catastrofe umana in atto a Gaza.

Sono fortunata ad avere un editore “con le palle”, un editore che non ha bisogno di finanziamenti esterni, una casa editrice che crede nella libertà di parola. In periodi come questo, bui, non è facile scrivere ed ancora più difficile è pubblicare, ma noi scriviamo e pubblichiamo per la storia non per i talk show.

La storia che viviamo ci dice che la dicotomia buono/cattivo erode gli equilibri geopolitici. Mai successo che un presidente americano dovesse salire su un aereo ed andare a convincere il leader di Israele a stare calmo, che tornasse a casa con il contentino di 20 camion di aiuti per 2,4 milioni di persone che due giorni dopo ancora non riescono ad entrare a Gaza. Forse Biden sperava nella moltiplicazione dei pani e dei pesci? Ma Gesù non si trova al cancello di Rafah. Mai successo che i paesi arabi rifiutassero di vedere Biden mentre hanno accolto Sunak, un primo ministro britannico che opera come un guardiano di macchine fino alle prossime elezioni che il suo partito perderà disastrosamente. Mai successo che si identificasse una popolazione con un gruppo terrorista e si applicasse il principio della responsabilità collettiva e della punizione collettiva. Per chi conosce la materia il significato di tutto ciò ribalta completamente tutte le teorie sociopolitiche sul terrorismo, in effetti così facendo si commette un errore cardinale, si legittima Hamas che da organizzazione terrorista diventa l’espressione politica dei palestinesi.

L’interminabile libro del terrorismo ha aperto un nuovo capitolo, pericolosissimo e certamente non breve. E non a caso chi lo scrive è in Palestina.

Articolo Precedente

C’è una lezione che l’attacco di Hamas contro Israele può insegnare all’Ucraina e ai suoi alleati

next
Articolo Successivo

I mercati sono euforici, ma l’economia reale è un’altra cosa. Eppure la Bce pare ignorarlo

next