L’economia va a gonfie vele e le prospettive per il 2024 sono fantastiche, i tassi d’interesse torneranno prestissimo a scendere: questo in sintesi il messaggio della Riserva federale americana al quale ha fatto eco dopo 24 ore quello della Banca centrale europea. Ma sarà vero?

Come la crisi del post Covid, così la ripresa economica sembra un coniglio uscito dal cappello delle banche centrali tra lo stupore della gente. Molti sostengono che entrambi siano il prodotto della percezione della realtà economica da parte dei mercati e non degli indicatori economici. In effetti questo Natale in Europa non appare come una festività di grassa, al contrario si ha l’impressione che occorra tirare la cinghia ancora per un po’. Solo i mercati sono letteralmente euforici.

Il rally del mercato azionario del 13 dicembre 2023, il rally di Babbo Natale, è stato un evento in effetti straordinario. Il rally, che ha rafforzato la fiducia degli investitori e dei trader nell’economia e nella politica monetaria della Fed, è stato prodotto da diversi fattori, tra cui i risultati positivi degli utili delle imprese, i dati economici ottimistici e l’allentamento delle tensioni geopolitiche (ormai sia l’Ucraina che la Palestina sono crisi consolidate dalle quali non ci si aspetta nessuna sorpresa).

Il rally è stato anche significativo per tutti i principali settori e indici che hanno registrato guadagni. L’indice S&P 500 è cresciuto del 3,2 per cento, il Dow Jones Industrial Average del 2,9 per cento e il Nasdaq Composite del 4,1 per cento.

A sostenere il rally una volta partito è stato il discorso di Powell che ha indicato che la campagna pluriennale di inasprimento della politica monetaria americana era ormai giunta al termine e che si prevedevano tagli più netti ai costi di finanziamento per il prossimo anno – una mossa progettata per garantire un atterraggio morbido per la più grande economia del mondo.

Possibile che a guidare la politica monetaria dell’economia più grande al mondo siano i mercati, che insomma il governatore Powell abbia cambiato tono sulla scia del positivismo di Wall Street? Accusa analoga gli era stata mossa subito dopo la fine dei lockdown, quando era chiaro che lo squilibrio tra domanda e offerta stava pompando i prezzi. Allora, Jerome Powell si mosse lentamente, posticipando la decisione di innalzare i tassi fino a quando i mercati si convinsero che non c’era altro da fare.

Ci sono diversi fattori al momento che supportano l’idea che il mercato azionario stia guidando la politica monetaria della Federal Reserve e di conseguenza anche quella della Banca centrale europea. Uno di questi è la tempistica degli annunci: mercoledì scorso, le previsioni dei tagli hanno coinciso con le fluttuazioni e le aspettative del mercato.

Un altro fattore è la strategia di comunicazione della Fed, che cerca di segnalare le sue intenzioni e le sue motivazioni al pubblico e agli investitori, ma a volte crea confusione o incertezza. In effetti il governatore ha annunciato possibili tagli senza però rispondere alle domande relative a quali eventi si dovrebbero verificare per farli.

Un terzo fattore è il circolo vizioso che esiste tra il mercato e l’economia reale, il che significa che i cambiamenti nei prezzi delle azioni influenzano la fiducia dei consumatori, la spesa, gli investimenti e l’inflazione e viceversa. Questi fattori creano una relazione complessa, dinamica e delicata tra il mercato azionario e la Fed.

Intanto le scommesse su quando i tagli avverranno sono iniziate. I trader che operano sui mercati a termine, i futures, prevedono il primo taglio a marzo; mentre i mercati si interrogano sull’ammontare dei tagli finali alla chiusura dell’anno, anticipando che si potrebbe finire al di sotto del 4 per cento – il livello attuale è compreso tra il 5,25 e il 5,5 per cento, un massimo di 22 anni.

I mercati vivono di questo, anticipazioni e previsioni, i fatti contano poco: i soldi si fanno con le fluttuazioni giornaliere, non con gli investimenti di lungo periodo. Il problema è che l’economia reale non funziona in questo modo. Le prospettive di inflazione rimangono ancora incerte, i prezzi sono alti, l’occupazione – specialmente negli Stati Uniti – è ai massimi storici e dunque i salari tendono a salire.

La situazione potrebbe sfuggire di mano e forse ancora non è sotto controllo, insomma prima di rallegrarsi che il peggio è passato e che i tempi di grassa sono alle porte sarebbe bene essere cauti, magari aspettare la metà del 2024. Specialmente l’Europa dovrebbe prestare meno attenzione alle parole di Powell e più agli indicatori economici dei paesi membri; l’economia americana è decisamente più sana di quella del vecchio continente ed è anche geograficamente l’epicentro dell’industria high tec mondiale, motore della rivoluzione industriale – e non solo – in atto.

Tutto ciò la Banca centrale europea lo sa bene, ma pare voglia ignorarlo.

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