Annunciata come una rivoluzione sulla strada della transizione ecologica, dovrà ora piegarsi a una maggiore flessibilità concessa agli Stati la direttiva per l’efficienza energetica degli edifici (Energy Performance of Buildings Directive), ossia per le cosiddette ‘case green’. Sulla carta non cambia l’obiettivo finale: adeguare il patrimonio immobiliare per la riduzione delle emissioni inquinanti, fino ad arrivare a un parco edifici a emissioni zero entro il 2050. Ma non è di poco conto che si cambino modi e tempi rispetto alle ambizioni iniziali. E d’altronde il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, è il primo a non credere che si possa raggiungere questo risultato entro metà secolo. Di fatto, è l’ennesima frenata nell’ambito del Green Deal, dopo quelle su veicoli, ripristino degli ecosistemi, qualità dell’aria, solo per fare alcuni esempi.
Slittato al 7 dicembre anche il prossimo e definitivo round tra Consiglio, Parlamento e Commissione Ue per finalizzare il testo, con la spada di Damocle del rinnovo del Parlamento a giugno 2024. L’ultima, lunghissima, notte di negoziato trascorsa a Bruxelles, invece, ha portato a un accordo più vicino alla linea sostenuta dal Consiglio Ue. Con tutta probabilità si dirà addio a tempi e target dettati nella versione approvata a marzo, concedendo agli Stati molto più margine di manovra per l’applicazione della direttiva. Rimossa anche l’armonizzazione tra i Paesi dell’Unione delle certificazioni energetiche. “Vedo con soddisfazione che la conclusione sta arrivando dove ero arrivato io un anno fa. Con un po’ di soddisfazione, mi sono tolto il dente” ha commentato il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin. Ma se in un Paese come l’Italia, dove il 53,7% degli edifici risale a prima del 1970, l’efficientamento energetico è più complesso, è pur vero che il valore di un immobile dipende anche dall’Ape (Attestato di prestazione energetica).

La direttiva, dall’approvazione al negoziato – Il Parlamento Ue ha dato il via libera alla direttiva a marzo 2023. Il testo approvato e ora oggetto di negoziati dettava obblighi e tempi: per gli edifici pubblici e non residenziali almeno la classe di prestazione energetica E dal 2027 e la classe D dal 2030; per gli edifici residenziali almeno la classe E dal 2030 e quella D dal 2033. Obiettivo della direttiva era quello di agire prioritariamente sul 15% degli edifici più energivori, che i Paesi membri avrebbero dovuto collocare nella classe energetica più bassa, la G. Secondo i dati Istat, in Italia si parla di circa 1,8 milioni di edifici residenziali su un totale di 12 milioni. Resta la disposizione secondo cui tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028 (o dal 2026 per gli edifici di nuova costruzione occupati o gestiti da enti pubblici o di proprietà di questi ultimi). I target comuni a tutti i Paesi, però, rispecchiano la posizione del Parlamento Ue, perché il Consiglio ha da subito puntato a far slittare le date e a differenziare i percorsi tra gli Stati. Tra i punti più complessi al centro della negoziazione, infatti, ci sono proprio i tempi dell’adeguamento (articolo 9), su cui ci sarà probabilmente un ridimensionamento e l’armonizzazione delle certificazioni energetiche (articolo 16) che ormai parrebbe cancellata per garantire invece carta bianca agli Stati.

La direzione più ‘soft’ – Se Commissione e Parlamento puntavano alla ridefinizione delle classi di consumo energetico dalla A alla G, da determinare sulla singola unità immobiliare con tappe obbligate per aumentare gli standard minimi negli anni, il Consiglio punta i piedi e chiede (e per il momento sembra ottenere, ndr) che siano i Paesi membri a stabilire standard minimi di prestazione energetica (i Meps, Minimum energy performance standards) sull’intero parco nazionale, basandosi su una ‘traiettoria nazionale’ di riduzione dei consumi dal 2025 al 2050. In soldoni, non ci saranno requisiti di ristrutturazione europei per singoli edifici basati su classi energetiche armonizzate, ma gli Stati dovranno semplicemente garantire che l’intero parco nazionale raggiunga un determinato obiettivo in base a un piano di riduzione dei consumi che gli stessi Stati dovranno elaborare. Insomma, ogni Paese fa ciò che può (e vuole) fare a patto che si raggiunga l’obiettivo finale. Che, però, rischia di essere un’impresa impossibile. Resta da definire il meccanismo dei mutui green, ossia a tasso agevolato per chi acquista un immobile di nuova generazione e con elevate prestazioni energetiche. Per chi effettua ristrutturazioni, invece, sul tavolo resterebbero solo le agevolazioni stabilite dai singoli Stati. Cancellati gli obblighi per l’installazione di colonnine di ricarica nei parcheggi per gli edifici, mentre resta da definire quello di installare pannelli solari sugli edifici pubblici e non residenziali, per i quali la bozza di testo oggi prevede dei target al 2027, 2029 e 2032. Ancora da definire anche le percentuali di risparmio medio di energia da raggiungere entro il 2030 e il 2035, ma l’obiettivo finale resta quello di avere un parco edifici a emissioni zero entro il 2050.

Le reazioni in Italia – L’Italia è uno dei Paesi che più a criticato il testo approvato in primavera. Al centro della discussione i dati sugli edifici della Penisola: il 53,7% è stato costruito prima del 1970, il 31% tra il 1971 e il 1990, il 7,4% tra il 1991 e il 2000. Meno dell’8% è stato edificato dal 2000 in poi. “Abbiamo un patrimonio particolare con 31 milioni di fabbricati, di cui 21 milioni oltre la classe D” ha detto Pichetto Fratin. Per Confedilizia le notizie arrivate da Bruxelles sono “molto confortanti”, mentre l’eliminazione “delle norme che imponevano l’obbligo di effettuare gli interventi sugli immobili” rappresenta una “vittoria”. Un passo “sulla giusta strada” per la leghista Isabella Tovaglieri, relatrice ombra sul testo al Parlamento europeo e “la vittoria del buonsenso”. Anche secondo il capo delegazione di Fratelli d’Italia all’Eurocamera, Carlo Fidanza, si tratta un “passo nella giusta direzione” a scongiurare “target irraggiungibili con tempistiche troppo compresse”. Resta da capire, però, tutto questo come peserà sull’obiettivo finale della direttiva.

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