di Margherita Cavallaro

Essendo conscia che oramai nel mondo ci sono cose più pregnanti come, ad esempio, Israele e Gaza che letteralmente esplodono, voglio comunque fare una riflessione più “introversa”. Cosa hanno in comune i commenti di Pillon sulla pubblicità dell’Esselunga, Vannacci, la posizione del governo sull’utero in affitto e il pestaggio subito da un uomo a Milano colpevole solo di essere gay in un ristorante? La crisi delle nascite! No, non sono pazza (al massimo un po’ strana).

Faccio un passo indietro: in Italia c’è un problema demografico perché se ne vanno (per morte o emigrazione) più persone di quante ne nascano, il che causa una crisi della forza lavoro perché mancano i numeri di lavoratori necessari ad una produzione che riesca a far crescere l’economia. Non voglio entrare in merito a questioni complesse come l’immigrazione (anche perché questo breve spazio non sarebbe adatto) o concetti idioti completamente indegni di un qualsiasi commento come quello della sostituzione etnica, ma voglio piuttosto parlare di noi italiani facendo una riflessione che personalmente non ho mai sentito fare pubblicamente.

Ignorando morti e nascite nazionali, circa 6 milioni di italiani sono iscritti all’Aire, il che vuol dire che ancora di più sono effettivamente emigrati (perché comunque non tutti in realtà si iscrivono all’Aire, con buona pace delle istituzioni). Questi sono numeri più alti di quelli degli stranieri regolarmente residenti in Italia (5 milioni secondo l’ultimo rapporto annuale del Ministero del Lavoro). Questo vuol dire che avremmo bisogno, per fare quantomeno pari, di almeno un altro milioni di stranieri regolamentati (Ministro Salvini, se per qualche motivo sta leggendo la prego di sedersi che non voglio averla sulla coscienza se poi ha un capogiro e sbatte la testa). Oppure, idea folle, potremmo anche cercare di non rendere la vita impossibile a certi italiani costringendoli a emigrare e/o impedendogli di ritornare. E proprio qui torniamo al punto iniziale.

Volendo essere conservatori potremmo assumere che, statisticamente, almeno il 10% degli italiani emigrati appartengano alla comunità Lgbt+. Stiamo parlando di almeno 600mila professionisti che potrebbero essere in Italia a lavorare e a pagare le tasse invece che magari stare in un paese dove mettono la moquette pure in bagno. Perché sottostare a questi disagi piuttosto che tornare a casa propria nel Bel Paese? La risposta è, purtroppo, davanti agli occhi di tutti.

Come potete immaginare che, anche volendo, non ci sentiremmo a disagio all’idea di tornare in un posto dove i nostri figli potrebbero essere visti come il frutto di un reato paragonabile ad un omicidio? Dove potremmo essere insultati e picchiati, solo perché esistiamo, senza nessun aggravante specifico? Dove uno che è stato Senatore e perfino vicepresidente della Commissione Infanzia e Adolescenza si lancia in difesa della pubblicità di un supermercato, che molti hanno ritenuto indelicata, perché per le famiglie vale la pena combattere sempre soprattutto se ci sono i bambini di mezzo, ma solo se queste famiglie sono come decide lui, perché le altre (inclusi i loro bambini) vanno perseguitate e perseguite e chi ne fa parte deve solo starsi zitto? Dove un Generale dell’esercito, che dovrebbe essere il nostro ultimo baluardo di difesa e protezione, ci considera chiaramente esseri umani di serie B? Come dovremmo sentirci al sicuro in un paese così, soprattutto se abbiamo una famiglia e dei figli?

Sembra folle nel 2023 e la realtà è che chi non fa parte di una categoria discriminata non potrà mai capire, ma ci troviamo realmente in una situazione in cui il pensiero di tornare a casa nostra ci fa preoccupare della nostra sicurezza e ci sentiamo mancare garanzie che dovrebbero essere fondamentali. Riusciremo a rimanere delle coppie riconosciute dallo Stato? Riusciremo a trovare aiuto se qualcuno cerca di pestarci? Riusciremo a trovare o tenere un lavoro se facciamo coming out? Riusciremo a proteggere i nostri figli dalla brutalità di uno Stato che sembra voler far finta che non esistano? Perché al di là delle preoccupazioni personali siamo tutti d’accordo che per le famiglie bisogno combattere, ma quando c’è amore, non solo perché formate da un uomo e una donna cisgender. E nelle nostre famiglie c’è amore almeno quanto nelle coppie eteronormative (e a volte di più, perché almeno noi stiamo insieme perché lo vogliamo nonostante le avversità, non perché ormai abbiamo una certa età e abbiamo i parenti o la società che ci fanno pressione).

Ecco, magari invece che cascare dal pero e urlare alla crisi cercando di elaborare improbabili strategie e campagne per spingere a procreare (cose che sempre suscitano o il riso o un’inquietudine distopica), potremmo, che so, non fare di tutto per spingere un gran numero di italiani a fuggire dal proprio paese e a rimanerne fuori.

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Ritiro sociale degli adolescenti, un festival per affrontare il fenomeno: “Condizione che riguarda 120mila giovani in Italia”

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