Lo sciopero dei lavoratori dell’auto statunitensi continua ad estendersi sebbene abbia già ottenuto alcuni importanti risultati. Agli oltre 20mila lavoratori già fermi se ne sono aggiunti altri 4mila presso Mack Trucks, uno dei principali produttori statunitensi di mezzi pesanti e medi. General Motors ha accettato di includere i lavoratori delle nuove motorizzazioni elettriche sotto il contratto collettivo dell’auto. In generale le richieste del sindacato sono ambiziose, aumenti del 40%, riduzione degli orari del 30%, equiparazione dei trattamenti per lavoratori già impiegati e nuovi assunti. Ne parliamo con Joshua Clover, docente dell’Università della California Davis, che da tempo studia, osserva e descrive le varie forme di mobilitazione.

Professor Clover, guardando da lontano si ha l’impressione che lo sciopero dei lavoratori dell’auto sia qualcosa di più di una vertenza che riguarda uno specifico settore. Al di là di rivendicazioni molto interessanti, come quella di un miglior equilibrio tra vita e lavoro, si assiste al ritorno di una forma di conflitto a cui non eravamo più abituati. È qualcosa che potrebbe dare inizio ad una nuova stagione di mobilitazioni ed estendersi ad altri settori?

Lo sciopero in atto ha un significato tale da meritare tutta l’attenzione che sta ricevendo. Il movimento operaio in Europa, Regno Unito e Stati Uniti è in una fase di declino, seppur in modo disomogeneo, da diversi decenni. A intervalli regolari qualcuno afferma che siamo nel mezzo di una nuova “ondata di scioperi”, ma mentono agli altri e a se stessi. Anche negli ultimi anni, in cui pare che ci sia stata qualche energia in più nelle mobilitazioni, abbiamo visto solo una piccola frazione dell’attività di protesta che aveva caratterizzato il periodo che va dagli anni Trenta agli anni Ottanta. Nell’ultimo mezzo secolo i sindacati hanno smesso di essere motori di militanza, si sono limitati a gestire il declino, collaborando con i capitalisti per assicurarsi che le imprese rimanessero redditizie e i lavoratori non perdessero il posto anche quando ciò ha significato una diminuzione delle retribuzioni, dei diritti e delle condizioni di lavoro. Nella migliore delle ipotesi, i sindacati sono stati indeboliti e, nella peggiore, sono diventati a tutti gli effetti partner del capitale. Ciò è particolarmente vero proprio per l’Uaw (united automobile workers, il sindacato dei lavoratori dell’auto, ndr), che più o meno ha aperto la strada a questo percorso già dal 1973. Per molti versi l’organizzazione dei lavoratori dell’auto ha incarnato il peggio che i sindacati hanno da offrire: burocrazia, collaborazionismo con l’azienda, impegno zelante a reprimere ogni reale militanza tra i suoi ranghi e tra i suoi membri. Ecco perché lo sciopero in corso sembra così importante.

Cosa è cambiato?

È come se un incantesimo durato 50 anni si fosse spezzato. O almeno così speriamo. Numericamente, siamo ancora molto lontani dalla portata e dall’intensità delle azioni sindacali che erano la normalità nel secolo scorso. Ci sono buone ragioni per ritenere che quel tipo di mobilitazione non tornerà mai più, dato il carattere della deindustrializzazione, lo spostamento della manodopera verso i servizi, le differenze e le difficoltà affrontate da questi settori. Ma lo sciopero indetto dall’Uaw è più ambizioso, diffuso e minaccioso di qualsiasi cosa si sia vista in questo settore negli ultimi tempi. Penso che l’aspetto più convincente sia la richiesta di eliminare i “livelli” – vale a dire il tentativo di porre fine alla strategia del management di fare concessioni limitate ai lavoratori se questi consentiranno tagli sostanziali alle retribuzioni o ai benefici per chi verrà assunto domani o per i lavoratori con minore anzianità. Ho visto i miei colleghi, insegnanti, accettare questo terribile accordo più e più volte: è disgustoso. È letteralmente l’opposto della solidarietà. E penso che la richiesta, in particolare, da parte del sindacato non sia solo buona in sé, ma un segno di un approccio generale che può costruire un potere più ampio dei lavoratori, sia nello specifico settore dell’auto che al di fuori di esso. Spero che ciò sia accompagnato dal rifiuto di firmare qualsiasi clausola di “no sciopero” che impedisca al sindacato di sostenere altre azioni di protesta. Queste sono le decisioni che consentono al movimento dei lavoratori di crescere attraverso i settori, oltre i confini.

Uno sciopero che fallisce si paga. C’è questo rischio e se si perché i sindacati e i lavoratori hanno deciso di correrlo?

La gente vuole dare credito a Shawn Fain, ma ovviamente ciò che è più importante è capire le condizioni in cui qualcuno come Fain potrebbe essere eletto capo del sindacato e in cui lo sciopero potrebbe godere di un ampio sostegno nazionale, cosa oggi molto rara nel mondo. Stati Uniti. Tutto ciò potrebbe essere il segnale che qualcosa è cambiato. Non è possibile tornare indietro ai tempi del movimento operaio storico. Ma può darsi che le condizioni di lavoro stiano diventando così penalizzanti che le persone iniziano ad accettare di correre molti rischi per portare avanti le loro rivendicazioni. In un certo senso è una narrazione di momenti in un lungo declino, ma pieni di inversioni. Con il declino dell’economia globale negli anni Settanta, i lavoratori sono diventati più disposti a scendere a compromessi per preservare una parte di ciò che avevano ottenuto durante il lungo boom dei “gloriosi trenta”. Ora il declino ha raggiunto un punto (nonostante quello che vi diranno alcuni ottimisti borghesi) in cui non c’è motivo per non ricominciare a giocare duro. Personalmente spero che questo continui.

Un aspetto interessante è la convergenza di mondi solitamente distanti, quello dei lavoratori dell’auto e quello delle associazioni ambientaliste….

È una giusta osservazione. Sono felice di vedere questi momenti di solidarietà, e sicuramente chiunque abbia a cuore la sopravvivenza del clima sa che le ambizioni capitaliste devono essere contrastate con decisione e annientate senza alcun rimorso. Pertanto non sono sorpreso di vedere i gruppi ambientalisti prendere posizione contro gruppi capitalisti. Allo stesso tempo, la contraddizione tra la domanda di occupazione e la richiesta di neutralizzare datori di lavoro per salvare l’ambiente deve ancora essere risolta, e non esiste alcun trucco tecnologico per farlo. Questa contraddizione e questa lotta rimangono davanti a noi. Sono lieto che, finalmente, ci stiamo riflettendo apertamente.

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